Appalti

Grandi opere, dal 2017 in cantiere solo il 20%: tra gara e lavori passano fino a 5 anni

Focus su 96 opere di importo superiore a 50 milioni: valore 25,2 miliardi, solo 5 miliardi entrati in produzione

di Mauro Salerno

Solo 31 delle 96 grandi opere sopra 50 milioni bandite o aggiudicate dal 2017 a oggi hanno raggiunto il traguardo dell'avvio dei lavori. In numeri vuol dire meno di un'opera su tre. Ma il bilancio peggiora se si guarda al valore economico delle infrastrutture in ballo. Nel giro degli ultimi tre anni, o poco più, sono state messe in gara grandi opere per 25,2 miliardi di euro (25.159,4 milioni a essere precisi). Le 31 che si sono davvero trasformate in cantieri (alcune di queste solo da qualche mese) superano di poco il valore di 5 miliardi (5.032,1 milioni). Valutato in termini economici significa che il rapporto tra grandi opere bandite (dunque più che semplicemente annunciate) e davvero avviate scende dal 32,3% al 20 per cento. Un bilancio impietoso del gap tra investimenti annunciati e realizzati in concreto a beneficio di quell'economia del Paese che passa attraverso lo sviluppo delle infrastrutture.

Il focus sulle opere oltre 50 milioni
I dati emergono da una rilevazione svolta andando alla ricerca dei bandi e degli esiti di gara delle opere di importo superiore a 50 milioni messe sul mercato negli ultimi tre anni. Un tempo abbastanza lungo per valutare l'esito di tante grandi operazioni. E che alla vigilia della riscrittura del Recovery plan del governo Draghi si innesta di forza nel dibattito politico che vede contrapposte le fazioni di chi vorrebbe cancellare con un colpo di spugna il codice appalti, accusato di zavorrare di burocrazia i progetti di investimento (la Lega certo, ma anche i sindaci) , e chi invece quel codice ha contribuito a scriverlo nel 2016 e ora lo difende (Pd e M5S), puntando tutt'al più a semplificarlo e attuarlo.

Difficile dire se questi numeri danno ragione a una o all'altra fazione. E ragionare per ideologie non è mai una buona abitudine. Specie quando - anche a voler lasciare da parte la competitività del Paese - sono in ballo i destini di un settore economico vitale, come quello delle costruzioni, messo in ginocchio da una crisi ultradecennale aggravata dalla pandemia.

Anche cinque anni dalla gara ai lavori
Il punto è che la fotografia è sconfortante. E in qualche caso mette in crisi l'argomentazione di chi sostiene senza mezze misure che il problema delle infrastrutture italiane non sono le gare (che per la vulgata durerebbero sei mesi) ma la mancata programmazione e il percorso minato delle autorizzazioni che precedono il bando di gara. Di sicuro nella giungla delle autorizzazioni si annidano ostacoli per ogni progetto, ma quest'indagine evidenzia che anche le gare non sono una passeggiata per Pa e imprese.

Ci sono vicende record, in cui la traversata dal bando all'aggiudicazione è durata cinque anni, come nel caso della variante ferroviaria di Bari (appalto integrato di progettazione e lavori da 107,5 milioni), bandita il 25 febbraio 2015 e assegnata per 83 milioni soltanto a fine marzo 2020. Ma ci sono voluti quattro anni anche per appaltare l'impianto di depurazione di Napoli Nord (92,4 milioni) e la circonvallazione di Merano (102,6 milioni), flagellata dai ricorsi. Di fronte a questi casi-limite finiscono per impallidire anche i tre anni serviti per assegnare le gare per la variante alla statale 9 (Anas, 106 milioni) o il project financing da 59 milioni per valorizzazione del complesso San Domenico a San Gimignano. Non bisogna però pensare che si tratti di casi isolati.

A tre anni dal bando sono ancora più indietro, perché addirittura ancora da aggiudicare, le gare per un tratto da 112,4 milioni della ferrovia Circumetnea e il maxi-cantiere da 317,4 milioni per l'ampliamento alla terza corsia dell'A1 tra Firenze Sud e Incisa. Tempi biblici che gettano sconforto nelle imprese e i territori, in convinti che alcune opere non vedranno mai la luce.

Per questo non deve stupire se alla stessa distanza di tempo sono ancora lontani dall'essere avviati i lavori per nuovo maxi-collettore di Torino (125,8 milioni) e per l'ampliamento del terminal passeggeri dell'aeroporto di Venezia (280 milioni). Due anni non sono bastati per assegnare il dialogo competitivo da 934 milioni per il Parco della salute di Torino, che secondo gli annunci dovrebbe arrivare a conclusione il prossimo luglio con l'obiettivo di aprire i cantieri l'anno prossimo.

Scorrendo la tabella si scopre che in media servono almeno 18 mesi per il passaggio dagli annunci alla produzione in cantiere che genera spesa reale e fatture delle imprese.

Nel conto degli annunci buoni solo per i titoli dei giornali vanno inclusi anche le tante maxi-gare andate deserte o addirittura revocate a distanza di anni, come quella per la terza corsia dell'A11 Firenze-Pistoia: un bando da 248,2 milioni promosso il 5 luglio 2019 e mandato in soffitta il 5 febbraio scorso. Nel frattempo, si sono versati fiumi di inchiostro, ma nemmeno un grammo di cemento. Una fine condivisa anche dall'Innohub da 50,4 milioni di Parma (gara deserta), dal project financing da 281,5 milioni per l'Arsenale di Verona (altra gara revocata) e dal Ppp da 52 milioni per un nuovo edificio accoglienza all'ospedale maggiore di Bologna (altra gara deserta).

Inattuata la stretta del Dl semplificazioni
Certo non bisogna dimenticare i ritardi causati dalla pandemia che l'anno scorso ha costretto molte stazioni appaltanti a rinviare scadenze e assegnazioni. Ma è un fatto che le norme del decreto Semplificazioni (articolo 8), entrate in vigore lo a luglio 2020 proprio come antidoto a questa situazione sono rimaste lettera morta. L'idea era quella di imporre alle Pa di aggiudicare entro il 31 dicembre 2020 le gare scadute prima del 22 febbraio 2020. Qualcuno lo ha fatto? Gli addetti ai lavori rispondono di no. E lo stesso dicasi per le norme che imponevano di contingentare i tempi di aggiudicazione delle procedure.

Da scongelare opere per almeno 2,5 miliardi
In un recente esposto inviato all'Anac e alla Corte dei Conti i costruttori hanno quantificato in due miliardi le opere bandite e aggiudicate negli ultimi anni che aspettano solo di essere sbloccate. Un dato che alla luce di questa rilevazione si rivela fin troppo benevolo. Nel documento dell'Ance si citano come esempio due grandi cantieri impantanati. Si tratta di gare assegnate con la tecnica degli accordi quadro. Un modello iper-utilizzato dalle grandi stazioni appaltanti negli ultimi anni, tanto che si contano appalti Anas con questa formula per diversi miliardi dal 2017 in poi. La nostra rilevazione non tiene conto dei bandi di questo tipo perché la formula serve più che altro ad assegnare appalti a chiamata, non opere puntuali. E dietro bandi da centinaia di milioni si possono nascondere affidamenti reali per importi marginali.

Ma anche tenendo fuori questo tipo di appalti – di cui parliamo in quest'altro articolo – l'allarme lanciato dai costruttori sui cantieri finiti nelle sabbie mobili della burocrazia rimane valido. Analizzando le gare oltre 50 milioni bandite e aggiudicate tra il 2017 e il 2019 (le aggiudicazioni del 2020 vanno escluse perché troppo ravvicinate per produrre stati di avanzamento lavori in tempi di pandemia) si scopre che sono stati messe in freezer opere per 2.476 milioni. Il dato è calcolato per difetto: dal conto sono state infatti escluse le concessioni e gli appalti integrati che comunque comportano tempi di progettazione più o meno lunghi prima di approdare in cantiere.

Resta il problema del contenzioso
Servono i commissari per sbloccare questi cantieri? Chissà: forse non basterebbero neppure i poteri straordinari. Visto che le cause del blocco vanno spesso ricercate tra i contenziosi che scoppiano a valle delle gare tra le imprese o tra le imprese e le stazioni appaltanti. E sarà anche vero, come riportano le indagini del Consiglio di Stato, che i ricorsi ormai incidono su un numero marginale di gare. Ma il focus sui bandi oltre 50 milioni dimostra che quando c'è in ballo un cantiere milionario è difficile che il secondo arrivato molli rapidamente la presa. Piovono le carte bollate e tutto si ferma.

Grandi opere bandite nel 2019: solo il 12,3% arrivato alla prima pietra
Guardiamo i bandi del 2017. Abbiamo contato 14 avvisi di gara oltre 50 milioni per un controvalore di 2,1 miliardi. I lavori sono iniziati in 10 casi per un controvalore di 1,6 miliardi. Rimangono fuori cantieri per soli 501,7 milioni. Il dato si riduce drasticamente se ci avviciniamo di 12 mesi. Dei 20 bandi promossi nel 2018 per 2,8 miliardi, solo 10 sono arrivati alla fase di cantiere (50%) per un controvalore di 1,6 miliardi (55,6%). Ancora peggio va se ci riferiamo al 2019: 24 bandi oltre 50 milioni, di cui solo 5 arrivati al cantiere. Vuol dire che su 5,16 miliardi di grandi opere messe in gara in quei due anni, soltanto il 12,3% per un controvalore di 635 milioni è arrivato alla fase produttiva. E magari solo da pochi mesi, se non settimane.

I casi positivi restano un eccezione
Non vanno taciuti i casi positivi. Ci sono esempi di gare concluse nel giro di pochi mesi con lavori avviati subito dopo. Anche da parte di stazioni appaltanti che non sempre brillano per rapidità di riflessi. Il problema è che dovrebbe essere la normalità, mentre a ben vedere si tratta di eccezioni, rispetto a una realtà molto meno rosea.

Quando si parla di grandi cantieri, come queste 96 opere oltre 50 milioni, si scopre che esiste un gap di tempo notevole tra il momento della gara e quello del cantiere. Spesso si tratta di avventure che durano anni. Bandire la gara non vuol dire produrre effetti di spesa immediati sul mercato: è un dato che la politica che decide come, quanto, dove e quando investire non può più fare finta di non vedere.

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