Appalti

Illegittimo il ricorso al quinto d'obbligo per rimediare agli errori di valutazione della Pa

Il potere della stazione appaltante di imporre alle imprese una modifica delle prestazioni vale solo per le circostanze imprevedibili

di Roberto Mangani

Le varianti disposte dalla stazione appaltante nell'ambito del c.d. quinto d'obbligo devono derivare da circostanze imprevedibili e sopravvenute, emerse nel corso dell'esecuzione del contratto. Ne consegue che non può considerarsi legittimo ricorrere a questo istituto per rimediare a errori originari compiuti dall'ente appaltante in sede di determinazione dei propri fabbisogni o al fine di eludere gli obblighi di evidenza pubblica per l'affidamento delle prestazioni.

Si è espresso in questi termini il Tar Campania, Sez. V, 27 novembre 2020, n. 5595, con una pronuncia che offre spunti interessanti anche per meglio inquadrare la complessa disciplina sulle varianti in corso d'opera contenuta nell'articolo 106 del D.lgs. 50/2016.
Il fatto. Una Asl aveva indetto una procedura di gara per l'affidamento del servizio di portierato per un monte ore predeterminato.

Con successiva delibera del direttore generale la Asl provvedeva a incrementare le prestazioni originariamente richieste, aumentando il relativo monte ore.
Con un ulteriore provvedimento veniva nuovamente affidato al medesimo soggetto il servizio di vigilanza, anche in questo caso per un monte ore predeterminato.
Infine, interveniva un'ulteriore delibera con la quale anche questo secondo affidamento veniva ampliato, incrementando il monte ore previsto dal contratto originario facendo riferimento all'istituto del quinto d'obbligo.
Contro quest'ultimo provvedimento della Asl veniva proposto ricorso davanti al giudice amministrativo da parte di un operatore economico del settore che era altresì il gestore uscente del servizio in oggetto.

Le questioni pregiudiziali
La società affidataria del servizio ha sollevato due questioni pregiudiziali al fine di far dichiarare l'inammissibilità del ricorso.
La prima questione ha riguardato la ritenuta carenza di giurisdizione del giudice amministrativo. Alla base di questa eccezione è stata posta la considerazione secondo cui l'istituto del quinto d'obbligo attiene allo jus variandi, e quindi è tipico della fase esecutiva. In sostanza, la controversia relativa alla corretta applicazione di tale istituto riguarderebbe la fase successiva alla stipulazione del contratto. Di conseguenza, in base al tradizionale riparto di giurisdizione secondo cui il giudice amministrativo è competente per tutte le controversie che attengono alla procedura di gara e trova appunto un limite alla sua competenza nell'avvenuta stipulazione del contratto, lo stesso giudice non potrebbe pronunciarsi in merito alle modalità di applicazione dello jus variandi attraverso l'istituto del quinto d'obbligo, essendo questione tipica della fase esecutiva.

Questa eccezione è stata respinta dal giudice amministrativo. Quest'ultimo ha infatti ritenuto che dal punto di vista sostanziale la controversia riguardasse l'affidamento di prestazioni ulteriori rispetto a quelle originariamente previste in presunta violazione delle regole sull'evidenza pubblica. In sostanza, la questione sollevata deve in ultima analisi ritenersi attinente alle modalità di scelta del contraente ed è quindi riconducibile alla giurisdizione del giudice amministrativo.

La seconda eccezione preliminare riguardava la ritenuta carenza dell'interesse ad agire in capo al ricorrente. Anche questa eccezione di inammissibilità è stata respinta dal giudice ammnistrativo sulla base della fondamentale considerazione secondo cui la scelta dell'ente appaltante di affidare le prestazioni aggiuntive facendo ricorso all'istituto del quinto d'obbligo viene a ledere in via diretta e immediata l'interesse legittimo del ricorrente, in qualità di operatore del settore, a rendersi esso affidatario di dette prestazione a seguito dell'indizione di un'ordinaria procedura di gara.

Il quinto d'obbligo
Venendo al merito della questione il giudice amministrativo affronta la questione centrale della controversia, e cioè la valutazione in merito alla legittimità dell'operato della stazione appaltante che ai fini dell'affidamento di prestazioni ulteriori rispetto a quelle previste nel contratto originario ha fatto ricorso all'istituto del quinto d'obbligo.

Tale istituto, da sempre conosciuto nell'ordinamento dei contratti pubblici, trova oggi regolamentazione nel comma 12 dell'articolo 106 del D.lgs. 50/2016. Questa disposizione consente all'ente appaltante di imporre all'appaltatore un aumento o una diminuzione delle prestazioni nel limite del quinto dell'importo del contratto originario (appunto il quinto d'obbligo) in relazione a necessità sorte nel corso dell'esecuzione del contratto. Tali prestazioni aggiuntive devono essere eseguite dall'appaltatore alle stesse condizioni previste nel contratto originario.

Si tratta di una particolare forma di jus variandi, che consente all'ente appaltante di aumentare o diminuire le prestazioni nel limite del 20% dell'importo del contratto originario, e che ha la peculiare caratteristica che l'appaltatore, entro il suddetto limite, non può apporre alcun rifiuto, essendo tenuto a eseguire le prestazioni aggiuntive (o a subire una diminuzione delle stesse) alle medesime condizioni previste nel contratto originario.

Nell'affrontare la questione il giudice amministrativo ricorda preliminarmente che lo ius variandi relativo al quinto d'obbligo riconosciuto all'ente appaltante nei termini indicati assume natura derogatoria in primo luogo rispetto alla disposizione di carattere generale di cui all'articolo 1372 codice civile, secondo cui il contratto ha forza di legge tra le parti. In questo caso, infatti, si riconosce a uno dei due contraenti – l'ente appaltante – la facoltà di modificare unilateralmente uno degli elementi essenziali del contratto, e cioè la quantità delle prestazioni da rendere.

Oltre a questa considerazione di carattere generale vi è poi un secondo tema, che riguarda più specificamente la normativa sui contratti pubblici. La previsione sul quinto d'obbligo si pone infatti anche come eccezione alla regola generale secondo cui i committenti pubblici devono affidare le prestazioni da acquisire tramite procedura a evidenza pubblica. Le prestazioni aggiuntive, nei limiti del quinto dell'importo del contratto originario, vengono infatti affidate all'appaltatore al di fuori di ogni procedura concorrenziale.

La natura derogatoria della previsione in esame, che deriva da entrambe le considerazioni richiamate, porta a ritenere che quest'ultima debba considerarsi di stretta interpretazione, nel senso che non può trovare applicazione oltre i limiti tassativi individuati dalla stessa.
Alla luce di questo presupposto il giudice amministrativo giunge ad affermare il principio secondo cui l'istituto del quinto d'obbligo può essere legittimamente utilizzato solo a fronte di circostanze imprevedibili e sopravvenute sorte nel corso dell'esecuzione delle prestazioni contrattuali.

Al contrario, è da ritenersi assolutamente precluso il ricorso a questo istituto per rimedire ad errori originari compiuti dall'ente appaltante in sede di valutazione dei propri fabbisogni quantitativi ovvero – in termini ancora più critici – per eludere le norme che impongono il ricorso a procedure a evidenza pubblica per l'affidamento delle prestazioni.

Alla luce di questi principi il giudice amministrativo giunge alla conclusione che nel caso di specie il ricorso all'istituto del quinto d'obbligo non è stato operato legittimamente dall'ente appaltante. Infatti, dalla documentazione di gara si ricava che già prima dell'avvio della stessa l'ente appaltante era consapevole dell'esistenza di un vizio genetico, consistente in una evidente sottostima delle prestazioni di cui lo stesso ente appaltante aveva bisogno. Indice evidente che l'insufficienza quantitativa di tali prestazioni non costituiva un evento imprevedibile emerso in sede di esecuzione del contratto, ma rappresentava al contrario un elemento ben noto già al momento dell'indizione della gara.

Ne consegue che l''ente appaltante è ricorso all'incremento delle prestazioni nell'ambito del c.d. quinto d'obbligo per rimediare a una disfunzione derivante da un errore di valutazione – operato in sede di gara – in merito alla quantificazione dei propri fabbisogni effettivi. Ma in questo modo l'utilizzo del quinto d'obbligo è risultato contrario alle norme che lo regolano e alla ratio ispiratrice dell'istituto, essendo quindi da ritenere illegittimo.
Il quinto d'obbligo e la disciplina generale delle varianti. La pronuncia in commento offre anche l'occasione per operare qualche considerazione sui rapporti tra l'istituto del quinto d'obbligo e la disciplina generale delle varianti contenuta, nella sua interezza, all'articolo 106 del D.lgs. 50.

Occorre infatti considerare che i commi 1 e 2 di tale articolo individuano le ipotesi in cui è consentito introdurre varianti ai contratti in corso di esecuzione, definendo nel dettaglio le specifiche condizioni, in relazione a ognuna delle ipotesi elencate, che devono ricorrere affinché l'introduzione sia legittima.

Nel contempo, come visto, il comma 12 consente all'ente appaltante di esercitare lo ius variandi nei limiti del quinto d'obbligo. Si deve ritenere che quest'ultima previsione abbia una valenza autonoma, nel senso che il ricorso alle varianti nell'ambito del quinto d'obbligo prescinde dal ricorso delle condizioni indicate dai commi 1 e 2.

In altri termini, l'ente appaltante potrà disporre le varianti nei limiti del quinto dell'importo del contratto originario a prescindere dall'esistenza delle condizioni cui le disposizioni dell'articolo 106 subordinano, in termini generali, la possibilità di introdurre varianti.
Resta tuttavia fermo il principio generale affermato nella sentenza in commento, secondo cui anche le varianti disposte nell'ambito del quinto d'obbligo devono trovare giustificazione in eventi sopravvenuti e imprevedibili emersi come tali nella fase di esecuzione del contratto e che non erano conosciuti o conoscibili in fase di predisposizione della documentazione di gara.

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