Appalti

L'idea che si fa largo a Palazzo Chigi: semestre bianco anti-burocrazia per la fase 3

Il governo studia una deroga generalizzata a tempo delle procedure per accelerare gli investimenti e preparare il piano di riforme

di Giorgio Santilli

Giuseppe Conte lo ripete da una settimana: maggio sarà il mese della Rinascita, con un decreto legge che punti a riattivare gli investimenti pubblici e privati. A Palazzo Chigi sono chiari gli obiettivi macroeconomici di questa manovra: favorire con ogni mezzo una ripartenza veloce a V, che recuperi in fretta tutto il Pil perso in questi mesi, o almeno a U, come dicono gli economisti prendendo spunto dai loro grafici. Lo scenario che terrorizza il governo è invece quello a L, una stagnazione lunga ai livelli minimi del Pil, che porterebbe al ridimensionamento della nostra economia e a una disoccupazione insostenibile.

Serve quindi una scossa potente. E mentre nei ministeri si mettono a punto proposte per il decreto Rinascita seguendo i canovacci più o meno tradizionali delle semplificazioni, la parola d’ordine a Palazzo Chigi è creare una grande corsia veloce con regole straordinarie e snelle che possano valere per un periodo temporale definito. Per tutto e per tutti. Una sorta di “semestre bianco” antiburocrazia che dovrebbe avere due caratteri tipici della scossa: mettere in campo regole, risorse ed energie generali e settoriali del tutto inedite per la storia repubblicana; definire una scadenza non troppo lontana - per esempio la fine dell’anno - che costringa tutti gli operatori interessati a compiere queste azioni straordinarie subito senza aspettare i tipici percorsi burocratici italiani che danno risposte solo con tempi lunghi.

Un terzo vantaggio fondamentale del “semestre bianco” è che potrebbe preparare il terreno per riforme più strutturali nel segno di un cambiamento anch’esso radicale di drastico taglio alla burocrazia. E per una programmazione di lungo periodo che valorizzi il ruolo degli investimenti strategici, infrastrutturali e industriali, dell’economia italiana. Il semestre sperimentale porterebbe in dote alla discussione delle riforme risultati fattuali su cui costruire un quadro di regole semplificato e sottratto alla solita logica della selva normativa. Il disegno, che non troverebbe certo l’opposizione delle categorie economiche, è destrutturare il più possibile il quadro procedurale e normativo attuale per poi ripartire da uno stato più leggero.

Un primo campo di prova del “semestre bianco” sarebbe inevitabilmente quello degli investimenti pubblici e degli appalti. Terreno principe del dominio burocratico. Negli ultimi venti anni tutte le riforme degli appalti che si sono succedute hanno creato un blocco di gare e investimenti per la difficoltà delle amministrazioni ad adattarsi alle nuove regole. Pensare a una nuova riforma del codice degli appalti oggi è rischiosissimo. Tanto più introdurre un regolamento generale che in bozza totalizza 311 articoli. Follia pura. L’idea che comincia a farsi strada a Palazzo Chigi è di rovesciare il percorso: azzerare per sei mesi tutte le regole nazionali ridondanti, salvando sempre gli aspetti intoccabili dell’antimafia e di un nocciolo duro della trasparenza. Sul primo fronte la legislazione speciale non si tocca, sul secondo bastano le direttive Ue. Il “modello Genova” ha insegnato molto e a Palazzo Chigi non vogliono perdere l’occasione di generalizzare quell’esperienza. Non quindi pochi commissari per poche opere, ma un uso generalizzato di quel modello per tutte le opere strategiche, come per altro ha chiesto il viceministro M5s alle Infrastrutture Cancelleri nella sua proposta di legge. Per le opere sotto la soglia europea di cinque milioni di euro, si potrebbe andare invece con procedure negoziate, gare informali, gare digitali veloci. Il salto, insomma, dovrebbe riguardare tutti, sia pure con strumenti, corsie preferenziali e procedure proporzionate al tipo di intervento e di committente.

Un secondo campo di intervento su cui si ragiona è quello dei finanziamenti pubblici che in molti casi presentano procedure create ad arte per non spendere piuttosto che per spendere. Procedure che risalgono all’epoca in cui l’interesse del ministero dell’Economia era frenare la spesa, così come, su un altro piano, l’interesse del ministero dell’Ambiente (e del suo mondo di riferimento) era di impedire, con la Via e altre autorizzazioni ambientali, che si realizzassero gli investimenti infrastrutturali. Retaggi di un’epoca che ha contribuito a distruggere la produttività del Paese e ora non ha più ragion d’essere, se sono proprio i ministri dell’Economia a puntare sul rilancio degli investimenti e i ministri dell’Ambiente a pretendere investimenti green.

Servirebbe una riforma radicale delle procedure di spesa. Questo per la fase 4. Nella fase 3 l’obiettivo sembra disboscare tutto ciò che è disboscabile. Partendo da quei fondi strutturali Ue e dai fondi nazionali a essi collegati, come il Fas di antica memoria o l’attuale Fondo sviluppo coesione. Grovigli di relazioni fra Stato e regioni, complicati dalle regole Ue, programmi scritti per non essere realizzate, risorse utili alla politica solo per governarne il percorso più che per spenderle davvero.

Oppure, altro esempio clamoroso, quello dei contratti di programma delle società pubbliche. C’è un vastissimo repertorio, ma basta ricordare il contratto di programma 2018 dell’Anas che vale 29,9 miliardi e sarà ora approvato per legge, aggirando la procedura che va avanti da due anni. Mentre i ponti crollano e la politica discute, lo Stato ammette la propria sconfitta: i fondi 2018 (previsti dal 2017) giunti al traguardo del Cipe solo nel luglio 2019, aspettano ancora il decreto interministeriale Infrastrutture-Economia e la registrazione alla Corte dei Conti. E l’Anas, che impiega otto anni per aprire un cantiere a causa del “gioco dell’oca” cui è costretto dalle procedure di approvazione dei progetti, dovrebbe trainare la ripresa, come la cugina Rfi.

A proposito di Corte dei conti, torna la proposta di un parere preventivo sui progetti e sui provvedimenti amministrativi che lasci i funzionari liberi dal rischio di un procedimento contabile per danno erariale. Ma chi spinge per fare, anziché per non fare, immagina anche una Corte che possa colpire l’inerzia del funzionario pubblico, oltre che la sua attività. Temi non facili politicamente, come la riforma dell’abuso d’ufficio di cui a ondate si torna a parlare.

Nel campo dei finanziamenti il settore pubblico può contare ormai su un patrimonio di esperienze che non è più a zero, come sarebbe stato qualche anno fa. Il “modello spagnolo” (ribattezzato “norma Fraccaro”) ribalta, per esempio, i canoni del rapporto fra progetto e finanziamento perché dà alle amministrazioni - in quel caso ai sindaci - una dote finanziaria da spendere entro sei mesi e comunque, pena il ritiro dei soldi. È questo l’unico programma di investimenti della storia repubblicana arrivato - nella sua prima versione gialloverde - a livelli di spesa vicini al 100% in meno di un anno. Il modello spagnolo non è generalizzabile per grandi opere, ma una riedizione sarà presente nel decreto rinascita.

Il terzo campo in cui il governo sembra intenzionato a intervenire è quello del sostegno agli investimenti privati, imprese, cittadini, condomìni. Il governo sa bene che prima l’incertezza delle regole - per esempio su Industria 4.0 - e oggi l’emergenza frenano gli investimenti delle imprese e sta valutando nuove iniziative per creare un quadro che li incentivi. Sa anche che va fatto subito. Uno dei settori su cui si punta è l’edilizia e la casa. Per questo anche ieri Conte ha rilanciato la nuova versione dell’ecobonus che dovrebbe superare la soglia del 100% di credito di imposta e spingersi fino al 120% proprio per consentire alle imprese e alle banche di anticipare i finanziamenti per i lavori che i singoli proprietari o i condomini non avrebbero. Ma anche nell’edilizia privata sfoltire la giungla dei procedimenti autorizzativi, allargando la sfera di azione dell’autocertificazione o della certificazione professionale, è urgente.

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