Imprese

Marche a rischio retrocessione: «Non teniamo il passo del Nord»

Riprendere velocemente a crescere per non rischiare di fare delle Marche “l’estremo nord evoluto del Mezzogiorno d’Italia”. Lo dice Simone Mariani, amministratore delegato della Sabelli e presidente degli industriali di Ascoli Piceno e Fermo, «che sono poi le province che fanno registrare le maggiori difficoltà di tutta la regione». Lo confermano i numeri. Il Pil marchigiano è lontanissimo rispetto ai livelli pre-crisi (era a -11,4% nel 2016) e comunque inferiore al recupero che negli ultimi 10 anni ha fatto l’Italia. La produzione industriale e i fatturati non decollano: +2,5% e +2,4% nel primo trimestre dell’anno, secondo l’indagine congiunturale del centro studi di Confindustria Marche. E il dato dell’export appena certificato dall’Istat è negativo: -1,6%. A chiudere il cerchio c’è il Rapporto Istat 2018, impietoso: nelle Marche si concentrano più che altrove “sistemi locali perdenti”, caratterizzati da un calo dell’occupazione sia rispetto al periodo pre-crisi sia a quello 2013-2017.

Segnali di un deterioramento del clima economico, che spinge la regione in basso nelle graduatorie nazionali e internazionali. Tuttavia, se si entra nel merito delle dinamiche industriali e settoriali, quelle medie sono il risultato di performance differenziate. Spiega Marco Cucculelli, docente di Economia alla Politecnica delle Marche: «Da un lato, risultati solidi per un gruppo di imprese che primeggiano – anche a livello internazionale – per competitività e capacità di stare sul mercato e, dall’altro, performance più deboli, o negative, di imprese che non riescono a reagire al nuovo clima competitivo”. Da qui la necessità di «interventi a supporto del sistema delle imprese che non trascurino il fatto che tale eterogeneità si è accentuata dopo la crisi e che il bilanciamento tra le diverse tipologie di imprese ha subito importanti variazioni negli ultimi anni».

Claudio Schiavoni, appena eletto presidente degli industriali regionali, mette subito le cose in chiaro, tenendo aperto il confronto innanzitutto con la Regione Marche ma fissando i ruoli: «Sappiamo quali sono le necessità del nostro sistema e alla politica spetta il compito di tramutarle in leggi e provvedimenti». «L’obiettivo – aggiunge - dev’essere l'ampliamento della fascia di imprese che crescono in modo vivace, perché facciano da traino a tutto il sistema produttivo».

Sistema condizionato dalla piccola dimensione, composto in larga parte da aziende terziste, che – secondo Luca Bortolami, presidente di Tigamaro, azienda tolentinate della pelletteria – «stanno subendo la rivoluzione del BtoP, dove la singola persona condiziona le commesse delle grandi aziende, che per effetto domino mandano in tilt quei produttori locali che non riescono ad organizzarsi, pur potendo contare su una manufatti di straordinaria qualità».

Molto più della pelletteria soffre il comparto della calzatura, che ha nelle province di Fermo e Macerata il cuore della produzione, da anni in un tunnel recessivo dal quale non riesce a uscire, soprattutto a causa delle difficoltà internazionali da attribuire principalmente al mercato russo, verso il quale le imprese locali sono maggiormente esposte. Negli ultimi 15 anni sono stati persi circa 7mila posti di lavoro, dal 2010 hanno smesso di produrre circa 300 aziende: un “caso nazionale” per Mariani, che promette un «impegno straordinario per un velocissimo riconoscimento» da parte del Mise dell’area di crisi industriale, sulla scia della richiesta presentata nelle scorse settimane dalla Regione Marche.

Tagliata per la calzatura, ma non solo, sono le proposte del prorettore della Politecnica, Gianluca Gregori, in difesa del made in, introducendo l’obbligo dell’etichettatura d’origine e alcuni elementi normativi, «a cominciare dalla defiscalizzazione per chi riporta sul territorio alcune fasi della lavorazione dei prodotti, come ad esempio taglio e orlatura, oggi affidate ad aziende straniere che le fanno a basso costo».

In una situazione complessa, le Marche continuano a fare i conti anche con gli effetti del terremoto, che ha messo in ginocchio il 60% del territorio regionale e, in particolare, l’artigianato dell’area appenninica, il piccolo commercio e il turismo. «Dobbiamo lavorare in maniera coordinata anche con il livello nazionale – dice Bruno Bucciarelli, nell’ultimo triennio presidente di Confindustria Marche -, sburocratizzando le norme, attingendo ai fondi stanziati e semplificando al massimo se si vogliono ottenere risultati immediati».

«Non ci sono stati mai tante risorse disponibili», dice il governatore regionale Luca Ceriscioli. «Siamo di fronte a un’elefantiasi normativa mutante – gli fa eco il presidente Mariani, parlando di burocrazia – che costringe le imprese a trasformarsi in veri e propri uffici legali».

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