Appalti

Comunicazione antimafia senza controllo giudiziario

Cassazione: l'istituto può essere ottenuto dall'imprenditore colpito da interdittiva ma non da comunicazione

di Giovanbattista Tona

Il controllo giudiziario volontario può essere richiesto e ottenuto dall'imprenditore colpito da informazione antimafia interdittiva, emessa dal Prefetto, ma resta precluso a chi è destinatario di una comunicazione antimafia. Lo ha chiarito la Corte di Cassazione (sentenza n.35048 del 22 settembre scorso), pronunciandosi sui presupposti della misura prevista dall'articolo 34bis comma 6 del decreto legislativo 152/2011 (Codice antimafia). Un imprenditore, colpito dalla comunicazione antimafia (articolo 82 comma 2), si era visto dichiarare inammissibile la sua richiesta di controllo giudiziario, una misura che sospende gli effetti del provvedimento prefettizio e comporta, per un tempo non inferiore ad un anno e non superiore a tre, l'assolvimento di un programma di bonifica e le costanti verifiche da parte di un amministratore giudiziario che riferisce ogni due mesi al giudice delegato. L'imprenditore si era quindi rivolto alla Cassazione per lamentare l'irragionevole disparità di trattamento rispetto a chi è destinatario dell'interdittiva antimafia. I giudici di legittimità hanno, invece, ritenuto coerente la disciplina dell'istituto alla luce della diversa natura delle due forme di documentazione antimafia e della specifica funzione della misura di cui l'imprenditore può chiedere l'applicazione.

Le due misure
La comunicazione antimafia, prevista dall'articolo 84, comma 2, del Dlgs 159/2011, consiste nell'attestazione della sussistenza di una delle cause di decadenza, di sospensione o di divieto che, ai sensi dell'articolo 67 dello stesso decreto, derivano da provvedimenti provvisori o definitivi del tribunale (sezione misure di prevenzione), da sentenza definitiva, o anche solo confermata in grado di appello, per i delitti di criminalità organizzata elencati dall'articolo 51 comma 3bis del Codice di procedura penale. Si tratta, quindi, di un atto meramente ricognitivo di un effetto che la legge riconnette a determinate tipologie di pronunciamenti giurisdizionali.L'informativa antimafia comporta invece un apprezzamento valutativo da parte del Prefetto di situazioni relative a tentativi di infiltrazione mafiosa da desumere dai provvedimenti giudiziari elencati nell'articolo 84, comma 4, del Dlgs 152/2011, o da ulteriori accertamenti all'uopo disposti. La comunicazione antimafia è, dunque, il risultato di un'attività amministrativa vincolata, con l'attestazione di cause di decadenze o di divieti, cristallizzati in altri provvedimenti giurisdizionali che accertano comportamenti illeciti gravi e indici di pericolosità dell'imprenditore interessato. L'informativa interdittiva trae origine da una valutazione discrezionale degli indici del rischio di infiltrazione mafiosa. È quindi compatibile con il presupposto e gli scopi del controllo volontario: l'occasionalità dell'agevolazione prestata dall'imprenditore ai soggetti socialmente pericolosi e la possibilità di affrancare l'impresa dai condizionamenti illeciti, attraverso un programma di bonifica degli assetti e delle prassi aziendali.Ed infatti, la lettera della legge attribuisce la facoltà di richiedere al tribunale competente per le misure di prevenzione l'applicazione del controllo giudiziario alle «imprese destinatarie di informazione antimafia interdittiva ai sensi dell'articolo 84, comma 4».

Legami non occasionali
I provvedimenti che sono, invece, oggetto di ricognizione nella comunicazione antimafia prefigurano legami con i contesti criminali non occasionali e quindi non depurabili con il solo controllo giudiziario.E per questo la Corte costituzionale con sentenza n. 178 del 30 luglio scorso ha dichiarato illegittimo l'articolo 67 comma 8 del Codice antimafia, che estendeva gli effetti della comunicazione anche alle persone condannate per i reati di cui all'articolo 640, secondo comma, n. 1), del Codice penale, commesso a danno dello Stato o di un altro ente pubblico, e all'articolo 640-bis del codice penale. Si sono ritenuti irragionevoli e sproporzionati tali effetti per reati di truffa che possono essere commessi al di fuori delle dinamiche della criminalità organizzata e richiedono una più articolata valutazione caso per caso.

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