I temi di NT+Tributi e bilanci a cura di Anutel

Riforma della giustizia tributaria e responsabilità amministrativa negli enti locali

di Giuseppe Avizzano (*) e Giovanni Gentile (**) - Rubrica a cura di Anutel

La riforma della giustizia tributaria, recentemente approvata dal Parlamento, è destinata a incidere in maniera significativa anche nei rapporti tributari tra i contribuenti e gli enti locali.

A questo riguardo va innanzitutto segnalato come la nuova formulazione dell'articolo 17-bis del Dlgs 546/1992 abbia espressamente previsto come «in caso di rigetto del reclamo o di mancato accoglimento della proposta di mediazione formulata ai sensi del comma 5, la soccombenza di una delle parti, in accoglimento delle ragioni già espresse in sede di reclamo o mediazione, comporta, per la parte soccombente, la condanna al pagamento delle relative spese di giudizio. Tale condanna può rilevare ai fini dell’eventuale responsabilità amministrativa del funzionario che ha immotivatamente rigettato il reclamo o non accolto la proposta di mediazione».

Lo scopo evidente della novella è quello di deflazionare il contenzioso ponendo, a carico del funzionario responsabile dell'ente, l'onere di prestare particolare attenzione alle ragioni espresse dal contribuente già in fase di mediazione.

Difatti, sempre l'articolo 17-bis prevede che «per le controversie di valore non superiore a cinquantamila euro, il ricorso produce anche gli effetti di un reclamo e può contenere una proposta di mediazione con rideterminazione dell'ammontare della pretesa».

Come si vede, dunque, la fase della mediazione, propedeutica al deposito del ricorso in Commissione (ora Corte di Giustizia) è obbligatoria e le relative motivazioni sono le medesime del ricorso; pertanto, il mancato esame delle ragioni addotte dal contribuente o, addirittura, la mancata costituzione in giudizio dell'ente, fa nascere, in caso di soccombenza, una responsabilità diretta in capo al responsabile del servizio, dirigente o posizione organizzativa, all'uopo delegato.

Resta da comprendere, quindi, in che cosa consista questa responsabilità amministrativa.

Al riguardo va detto innanzitutto che, nel caso di specie, si tratta della responsabilità dei funzionari e dipendenti pubblici nei confronti dei terzi e nei confronti della loro amministrazione. In buona sostanza, essa è la responsabilità in cui incorre il soggetto che ha un rapporto di servizio con un ente pubblico, il quale, violando i doveri che derivano da tale rapporto, può cagionare un danno (erariale) alla Pubblica amministrazione.

Vero è che l'accusa dovrà dimostrare l'esistenza delle due componenti essenziali dell'illecito: quella oggettiva (condotta, nesso di causalità ed entità del risarcimento), e quella soggettiva (colpa, dolo, esimenti soggettive); ma è pur vero che, a fronte di una sentenza di condanna dell'ente da parte della Corte di giustizia tributaria o del giudice tributario monocratico per cause inferiori a 3.000 euro, risulterà oltremodo difficoltoso per il funzionario incaricato, o più probabilmente per il responsabile dell'ufficio tributi, argomentare a propria difesa.

É' indubbio tuttavia che l'onere di dimostrare la colpevolezza del presunto autore del "danno" nei confronti dell'"Erario", cioè delle finanze e del patrimonio dello Stato, sia in capo alla Procura della Corte dei conti la quale, però, potrà rapidamente attivarsi a seguito di segnalazione degli ispettori della Ragioneria generale dello Stato, o in capo agli stessi contribuenti ove essi si sentiranno vessati da funzionari poco diligenti o, più probabilmente, trascurati da responsabili particolarmente oberati di lavoro.

In ogni caso, tali circostanze, ove ripetute, non potranno non essere considerate, dagli Organismi Indipendenti di Valutazione o dai Nuclei di Valutazione, ai fini della valutazione della performance individuale.

Non da meno, anche il nuovo articolo 48-bis prevede ulteriori situazioni da considerare ai fini delle responsabilità. É stato difatti previsto che «per le controversie soggette a reclamo ai sensi dell’articolo 17-bis, la Corte di Giustizia Tributaria, ove possibile, può formulare alle parti una proposta conciliativa, avuto riguardo all’oggetto del giudizio e all’esistenza di questioni di facile e pronta soluzione». Ma «qualora una delle parti ovvero il giudice abbia formulato una proposta conciliativa, non accettata dall’altra parte senza giustificato motivo, restano a carico di quest’ultima le spese del giudizio maggiorate del 50 per cento, ove il riconoscimento delle sue pretese risulti inferiore al contenuto della proposta ad essa effettuata…».

(*) Giudice Tributario

(**) Dottore Commercialista

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