Amministratori

Gualtieri: «Forte spinta nel 2020-21, buco per troppe proroghe ed estensioni di platea»

L'intervista al sindaco di Roma, ex ministro dell’Economia del governo Conte-2

di Gianni Trovati

«Il 110% è stato una misura anticiclica straordinaria, utile in una fase economica eccezionale. Il problema non è lo strumento come era stato originariamente concepito, ma le successive proroghe e gli allargamenti della platea che sono stati alla base dello sforamento rispetto alle risorse stanziate». Da ministro dell’Economia del governo Conte-2, l’attuale sindaco di Roma Roberto Gualtieri è tra i «padri» del Superbonus oggi nuovamente al centro della scena. E numeri alla mano traccia un bilancio analitico della misura.

Alla luce dell’impatto sui conti pubblici largamente superiore alle previsioni, rifarebbe il Superbonus?

Sì. È stato un tassello di una strategia di politica economica più ampia, che nel complesso ha determinato una crescita formidabile del Pil e un aumento altrettanto rilevante delle entrate, salvando il tessuto sociale, produttivo e finanziario. Occorre tornare alla primavera del 2020. Per il lockdown il Pil era crollato del 18%. Con i decreti cura Italia e Liquidità avevamo dato una prima importante risposta con le garanzie, l’estensione della Cig e il blocco dei licenziamenti. Ma occorreva dare una spinta alla crescita e questo non poteva avvenire solo con ristori e sussidi: bisognava sostenere subito una componente fondamentale della domanda aggregata come gli investimenti e in attesa di poter mettere a terra quelli pubblici e i fondi europei, che avrebbero richiesto tempo, decidemmo di puntare sugli incentivi all’efficientamento energetico degli edifici e sul potenziamento di Industria 4.0. Lo stanziamento per il 110% fu di 14,5 miliardi in 5 anni, che grazie al meccanismo dell’incentivo potevano scaricarsi tutti a terra immediatamente. Nella nostra visione si trattava di una misura temporanea, che sarebbe terminata nel 2021 e non avrebbe dovuto essere prorogata perché dal 2022 sarebbero arrivati il Pnrr e gli altri copiosi investimenti pubblici messi a bilancio.

Ma la spesa è stata superiore all’impresa.

Attenzione. L’effetto fu subito positivo, con un rimbalzo senza precedenti dell’indice delle costruzioni che poi con altre componenti della manifattura trainò già nel terzo trimestre il Pil in uno spettacolare rimbalzo del 14,5%, che portò poi nel 2021 la performance dell’economia italiana a essere nettamente migliore di quella dei principali Paesi europei. A questo risultato contribuì l’insieme delle misure adottate dai governi Conte 2 e Draghi, e il 110% fece la sua parte. Come ha rilevato il Mef, gli incentivi edilizi hanno generato un incremento del Pil dell’1,3% e dell’occupazione dello 0,6%, imputabili in gran parte al 110%. Il problema sono quindi le proroghe e gli allargamenti della platea, alla base dello sforamento rispetto alle risorse stanziate.

Proroghe e ampliamenti partiti quando eravate al governo, però.

Il negoziato sulla proroga nell’autunno del 2020 fu molto duro e ampiamente documentato dalle cronache, con il Movimento 5 Stelle che chiedeva di arrivare fino al 2023 e una forte pressione anche dagli altri partiti. Io ero contrario e alla fine riuscimmo a contenere la proroga al 30 giugno del 2022, e devo dire che a quella data lo scostamento rispetto alle previsioni e allo stanziamento fu solo di un miliardo. Ma la fortissima coalizione parlamentare che spingeva per ulteriori proroghe e allargamenti non si fermò qui, e appena formato il nuovo governo riuscì a strappare una nuova estensione a fine 2022, oltre a introdurre un’ulteriore assai discutibile allargamento della platea, consentendo gli interventi anche in assenza di conformità edilizia degli edifici. Fortunatamente il governo Draghi intervenne positivamente sugli abusi legati alla cedibilità dei crediti (che comunque riguardarono in misura trascurabile il 110%), ma ormai con l’estensione a tutto il 2022 i buoi erano fuggiti perché come prevedibile l’aumento degli interventi fu esponenziale. Un altro problema riguarda l’equità distributiva, che fu minata quando il Parlamento in conversione inserì le seconde case, e quando tentai di spiegare che ciò avrebbe peggiorato sensibilmente gli effetti distributivi della misura mi trovai di fronte un muro. Pensi che negli emendamenti al decreto erano state inserite anche ville e castelli, che fortunatamente riuscimmo a far togliere.

Come giudica quindi l’intervento del governo?

È inevitabile, altrimenti sarebbe necessaria una pesante manovra correttiva nel 2023, anche se è sicuramente possibile qualche miglioramento, in particolare sul Sismabonus, con l’obiettivo mettere in sicurezza soprattutto gli interventi di ricostruzione per il terremoto.

Ma al di là dell’emergenza, come si possono conciliare le esigenze della transizione ecologica rilanciata anche dalla Ue con quelle dei conti pubblici?

Occorre stabilizzare su livelli più sostenibili gli incentivi all’efficentamento energetico e focalizzarli di più sul fotovoltaico, concentrando gli interventi più generosi sul patrimonio dell’edilizia pubblica. Proprio oggi a Bruxelles incontrerò insieme ad altri sindaci la commissaria all’energia per chiedere maggior sostegno ai Comuni su questo fronte.

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