Appalti

La Pedemontana lombarda prova a ripartire: dieci privati pronti a investire sul secondo lotto

di Sara Monaci

La Pedemontana lombarda, l’autostrada da quasi 5 miliardi (con gli oneri finanziari), uno dei progetti più grandi d’Europa, ci riprova. A metà ottobre è stata aperta una consultazione preliminare di mercato, pubblicata anche sul Financial Times, per capire quali grandi gruppi italiani e europei potrebbero essere interessati a partecipare alla costruzione del secondo lotto, circa 50 chilometri, e completare così l’opera.

Le offerte dovevano arrivare entro ieri, ma poi alcuni soggetti hanno chiesto ulteriori informazioni, per cui il cda ha deciso di prorogare il termine al 30 novembre. Si conta di arrivare ad una decina di grandi imprese in totale, che potrebbero anche presentarsi in forma consorziata.

A inizio dicembre si svolgeranno i colloqui con chi ha inviato la manifestazione di interesse, così da permettere alla società di capire in che direzione andare. Il nodo da risolvere, oggi come quindici anni fa, è fondamentalmente la governance: i soggetti privati devono solo costruire il progetto, gestirlo (da soli o insieme al pubblico) per i prossimi trent’anni o entrare anche con quote rilevanti nella proprietà? Una cosa è chiara: i privati che decidono di cimentarsi nell’opera intendono anche avere un ruolo predominante nella società.

I conti e i contenziosi

Pedemontana, con la scomparsa delle vecchie province, è passata di mano alla Regione Lombardia, dopo un breve periodo di transizione dentro la Città metropolitana. A controllarne circa l’80% è la società autostradale Serravalle - quella che un tempo, con il suo fatturato da 200 milioni medi l’anno, rappresentava la cassaforte della Provincia di Milano, e la cui maggioranza, ceduta dal gruppo Gavio, fu acquistata da Palazzo Isimbardi per volontà del presidente Ds Filippo Penati nel 2005. Da qui ne nacque un’inchiesta della procura di Monza durata anni e finita in un nulla di fatto (e con l’assoluzione di Penati).

Una decina di anni dopo la Regione si è così ritrovata in pancia Serravalle, la gallina dalle uova d’oro; ma pure Pedemontana, una strada per cui nessun governo regionale ha davvero trovato una soluzione e che rischia di affossare i conti degli azionisti in assenza di un solido piano industriale.

La valutazione di Pedemontana è di 5 miliardi compresi gli oneri finanziari, per un totale 70 chilometri di strada dalla provincia di Varese a quella di Bergamo. Il primo tratto, quello già realizzato (20 chilometri fino allo svincolo di Lomazzo) al momento ha già assorbito oltre 800 milioni del miliardo e 200 milioni di fondi pubblici stanziati. Si aggiungono 450 milioni tra equity versato dai soci e prestito subordinato da parte di Serravalle, più 200 milioni di prestito ponte. Chi metterà il resto? Domanda ancora senza risposta.

Con Roberto Maroni governatore si era parlato di un passo finanziario in più: l’accantonamento di un fondo di garanzia da 450 milioni da parte della Regione Lombardia, utile nel caso in cui il traffico non fosse stato sufficiente a coprire i costi (dopo che la strada aveva già ottenuto una defiscalizzazione da 350 milioni). Il patto fu firmato da Maroni e da Matteo Renzi premier. Al momento si tratta di un’iniziativa ancora da avviare, che riguarda il periodo 2021-2041.

Intanto l’accordo per la realizzazione del secondo lotto con l’austriaca Strabag è stato risolto, ed è ancora in corso un contenzioso. Contenzioso i cui numeri non aiutano a capire in cosa consista il danno: partito con una richiesta da parte dell’impresa di 4 miliardi, si sta poi ridimensionando a 400 milioni. Nota di colore: avvocato di Strabag è Domenico Aiello, avvocato di Maroni (che un tempo rappresentava la controparte della società austriaca).

Nell’estate 2017 la Procura di Milano ha chiesto il fallimento della Pedemontana, dopo aver già avviato un’inchiesta per falso in bilancio e un’altra per corruzione (non ancora chiuse). A portare le carte dai magistrati fu lo stesso presidente, allora Antonio Di Pietro, succeduto a Massimo Sarmi (ora il presidente è Andrea Mentasti). Alla società veniva contestato uno squilibrio finanziario almeno dal 2012, con eccessivo indebitamento nei confronti degli istituti di credito e dei fornitori, che rappresentava il 66-71% del totale. Inoltre la procura vedeva il rischio di un danno erariale. Ha avuto però ragione Pedemontana, a colpi di perizie: le casse avevano ancora 50 milioni di liquidità e nessun creditore alla porta.

Vero, da un punto di vista strettamente finanziario. Ma rimane il nodo politico: la Pedemontana, che tutte le amministrazioni dichiarano di volere, non trova una soluzione, con un piano industriale efficace e partner privati forti. E non aiuta certo l’attuale assetto politico, con un Movimento 5 Stelle al governo a Roma ma all’opposizione del centrodestra in Lombardia, e notoriamente critico contro le grandi opere

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©