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Elezioni: la Lega vola, M5S «fuori» dai ballottaggi

Il centrodestra a trazione leghista è il vero unico trionfatore delle elezioni amministrative di domenica. E Matteo Salvini, da ministro, vince a spese degli alleati. Soprattutto del M5S, che paga doppio dazio: alla tradizionale debolezza nel voto locale e all’asse di governo con il Carroccio. Perché l’elettorato che in massa alle politiche del 4 marzo aveva scelto il Movimento adesso in parte si è sfilato. E non è affatto scontato che si affermerà nei (pochi) ballottaggi a cui i pentastellati sono arrivati.

Ha ragione Salvini a parlare di «dati straordinari» e di «percentuali commoventi a Terni e a Pisa», le ex roccaforti rosse dove la Lega diventa primo partito rispettivamente con il 29% dei consensi (contro il 24,4% del M5S e il 12,57% del Pd) e con il 24,7%, seguito dal Pd con il 23,6% e dal M5S con appena il 9,8 per cento. Il centrodestra sfila al centrosinistra anche Vicenza, Catania e Treviso, dove il candidato sindaco vince al primo turno. Mentre a Brescia è il candidato del centrosinistra, il sindaco uscente Emiliano Del Bono, ad affermarsi a sorpresa con il 53,86% delle preferenze appoggiato dal Pd che sfiora il 35 per cento.

La volatilità dell’elettorato pentastellato è evidente proprio se si guarda a Brescia e a Vicenza, dove ha fatto scelte opposte: come ha sottolineato l’Istituto Cattaneo, più della metà di quanti avevano votato il M5S tre mesi fa si è astenuto. Ma chi ha scelto di andare alle urne ha premiato il candidato del centrosinistra nella città lombarda e quello del centrodestra in quella veneta, in cui il M5S aveva peraltro rinunciato a correre.

L’avanzata di Lega con Fi e Fdi è lampante sia rispetto alle precedenti elezioni comunali sia rispetto alle politiche. Nei 20 capoluoghi di regione la coalizione è passata dal 22,7% al 33% fino al 38% dei consensi. Il centrosinistra perde il 7,1% se si guarda alle passate amministrative, ma rialza la testa se il confronto si fa con le elezioni nazionali. Non è un caso che nei 76 comuni con più di 15mila abitanti che il 19 giugno torneranno al voto in 43 casi il ballottaggio sarà quello classico tra centrodestra e centrosinistra. Una rimonta che permette al reggente dem Maurizio Martina di dire che «i risultati sono incoraggianti: da qui possiamo costruire la nuova stagione del Pd».

Sono i Cinque Stelle a soffrire di più. Strappano appena otto ballottaggi, vincono al primo turno solo in quattro piccole città e sono il partito più votato soltanto in cinque grandi comuni: Avellino, Brindisi, Ragusa, Pomezia e Teramo. Non solo: sono ancora primi nelle tre città dove già governavano (Ragusa, Pomezia e Assemini), ma non ce l’hanno fatta al primo turno. Vedono sfumare il sogno di conquistare Ivrea, città cara al cofondatore Gianroberto Casaleggio e a suo figlio Davide. E nei due municipi di Roma finiti al voto anticipato (Montesacro e Garbatella) il M5S crolla sotto il 20%. Effetto Raggi, che si limita a promettere: «Ci impegneremo di più».

Nessuna autocritica da Luigi Di Maio, che rivendica la corsa solitaria del Movimento («Davide continua a vincere contro Golia») e il ballottaggio ad Avellino, a Terni e a Imola, a cui si aggiunge Acireale. Ma tra i pentastellati serpeggia la delusione. Non tanto al Nord, dove la vittoria leghista era ampiamente attesa, quanto al Sud. L’exploit delle politiche è un ricordo lontano persino in Sicilia (unica regione, tra l’altro, in cui Forza Italia resiste all’ondata travolgente della Lega): nonostante l’ottimo risultato delle regionali 2016, i candidati Cinque Stelle vincono al primo turno solo a Pantelleria. A Trapani, dove il candidato sostenuto anche dal Pd stravince con il 70%, si fermano al 12%. A Siracusa al 16,3%, a Messina al 13,4%. Esiti deludenti pure in Puglia, dove sono fuori dai ballottaggi, stavolta insieme alla Lega, a Brindisi e a Barletta.

In sintesi. Se Salvini può sostenere con sicumera che «sono stati riconosciuti i primi giorni da ministro», altrettanto non può fare Di Maio. Costretto finora a rincorrere l’agenda dell’altro vicepremier, anche sull’immigrazione, rischia di veder prendere il largo l’elettorato moderato e di sinistra che il 4 marzo si era accostato al M5S.

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