di Dario Morelli

Valutazione di impatto ambientale (Via) – Provvedimento di esclusione dalla VIA Verifica di assoggettabilità a Via (screening) – Funzione preliminare di “carotaggio” – Condizioni ambientali – Verifica del rispetto delle prescrizioni – Principio di precauzione – Nozione – Presunzione in merito al rispetto del principio – Condizioni di applicazione del principio di precauzione – Contenimento del rischio – Scelta del cd. rischio zero –Approccio puramente ipotetico del rischio – C.T.U. nell’ambito del giudizio amministrativo.

 

Massime

1.      Il principio di precauzione rifiuta un’anticipazione della tutela dell’ambiente fondata sulla semplice supposizione d’esistenza di una situazione di pericolo non ancora accertata scientificamente. Il principio presuppone, in primo luogo, l’esistenza di un rischio potenziale o latente, non meramente ipotizzato, che incida in maniera rilevante sull’ambiente, non potendo legittimare un’interpretazione delle disposizioni normative, tecniche ed amministrative vigenti che ne dilati il senso fino a ricomprendervi vicende non significativamente pregiudizievoli, e, in secondo luogo, un’ampia discrezionalità in capo alle autorità competenti nell’individuazione delle misure più efficaci al fine di prevenire il verificarsi o il ripetersi di danni ambientali.

2.     Le condizioni ambientali, indicate dall’art. 5 lett. o-quater del D. lgs. 152/2006, indicate dall’Amministrazione nel provvedimento di non assoggettabilità (o screening) alla procedura di valutazione di impatto ambientale (VIA) devono essere rigorosamente osservate dal proponente e monitorate dalla P.A., essendo, le stesse, parti integranti del giudizio di esclusione, con la conseguenza che la loro inottemperanza determinerebbe l’impossibilità di autorizzare legittimamente il progetto proposto.

3.     La verifica di assoggettabilità a valutazione di impatto ambientale cd. screening costituisce un procedimento di valutazione preliminare autonomo e non necessariamente propedeutico alla VIA vera e propria, con la quale condivide il prodotto, ossia la valutazione dell’impatto ambientale, inteso come alterazione qualitativa e/o quantitativa che si produce sull’ambiente ma con diverso grado di approfondimento.

4.     La CTU, essendo nell’ambito del giudizio amministrativo uno strumento di valutazione della prova al pari della verificazione e non un autonomo mezzo di prova, non esonera la parte dall’onere di provare i fatti dedotti e posti a base delle sue richieste, i quali devono essere dalla stessa dimostrati in ragione dei criteri di ripartizione dell’onere probatorio posti dall’art. 2697 c.c. Ratio dell’istituto è quella di fornire al giudice i necessari elementi di valutazione ove la complessità sul piano tecnico-specialistico dei fatti di causa ne impedisca una compiuta comprensione della vicenda oggetto di giudizio.

Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, sezione IV, 7 maggio 2021, n. 3597

 

 Commento

Con la Sentenza, in data 7 maggio 2021, n. 3597, il Consiglio di Stato ha affrontato un caso concernente il tema dell’applicazione del principio di precauzione e, in particolare, la sua coniugazione mediante l’apposizione di condizioni ambientali contenute nel provvedimento di verifica di assoggettabilità che esclude un progetto sperimentale dalla valutazione di impatto ambientale (VIA).

Il Collegio, al fine di dirimere la summenzionata questione, fornisce in via preventiva una cornice giurisprudenziale, nazionale e comunitaria, in materia di principio di precauzione. In base a tale principio per ogni attività che comporti pericoli, anche solo potenziali, per la salute umana e per l’ambiente, deve essere assicurato un alto livello di protezione.

Il ragionamento posto alla base della pronuncia del Consiglio di Stato rafforza l’orientamento, ormai consolidato, secondo il quale l’azione precauzionale è legittimata solo in presenza di effetti potenzialmente negativi sulla base di dati scientifici, seri, oggettivi e disponibili, nonché di un ragionamento rigorosamente logico, ancorché perduri un’ampia incertezza scientifica sulla portata del rischio.

Come correttamente sottolinea la Sezione, confermando il suo precedente (n. 4545/2020), tutta la normativa di cui al D. lgs. 152/2006 è ispirata al rispetto del principio di precauzione, e pertanto affermare, che le procedure di VIA ed AIA ivi disciplinate sono state rispettate dimostra conseguentemente che il principio stesso è stato presuntivamente rispettato, «ciò posto, non si può a priori escludere che il rispetto di tali procedure non sia sufficiente, e che quindi uno spazio per l’ulteriore applicazione del principio rimanga, ma nel far ciò si devono tenere conto i criteri individuati dalla giurisprudenza. Infatti, l’applicazione del principio non si può fondare sull’apprezzamento di un rischio puramente ipotetico, fondato su mere supposizioni allo stato non ancora verificate in termini scientifici».

Difatti, l’applicazione concreta del principio di precauzione, fondandosi sul nesso “valutazione del rischio – necessità della misura”, presuppone l’esistenza di un rischio specifico che «è tale solo quando non possa escludersi, sulla base di elementi obbiettivi, che l'intervento umano su un determinato sito lo pregiudichi in modo significativo». L’attuazione della misura adottata sulla base di tale principio è dunque condizionata ad una «valutazione quanto più possibile completa dei rischi calata nella concretezza del contesto spazio-temporale di riferimento, valutazione che deve concludersi con un giudizio di stretta necessità della misura».

A ciò il Collegio aggiunge che la valutazione sull’individuazione della misura più opportuna da adottare rientra nella gamma di attività mediante le quali l’autorità competente agisce con discrezionalità tecnica. Pertanto, i Giudici evidenziano come non sia consentito affermare che l’adozione aprioristica di misure “cautelative” (cd. “rischio zero”) costituisca sempre la risposta corretta all’insorgere di un rischio potenziale, potendosi, invero, rivelare una strategia del tutto improduttiva e non coerente con il principio di proporzionalità, le cui esigenze vanno invece coniugate in modo bilanciato con il principio di precauzione.

La valutazione del rischio effettuabile nella fase di “screening” implica una procedura di valutazione di impatto ambientale autonoma e preliminare rispetto alla VIA, in quanto «“sonda” la progettualità e solo ove ravvisi effettivamente una significatività della stessa in termini di incidenza negativa sull’ambiente, impone il passaggio alla fase successiva della relativa procedura; diversamente, consente di pretermetterla, con conseguente intuibile risparmio, sia in termini di costi effettivi, che di tempi di attuazione» (Consiglio di Stato, sezione II, sentenza n. 5379/2020).

La verifica di assoggettabilità, dunque, non essendo considerata una fase costitutiva ed imprescindibile della VIA, poiché prevista solo rispetto ai progetti indicati dal comma 1, dell’articolo 20 del D. lgs 152/2006 (nella versione applicabile ratione temporis), risponde alla ratio di assicurare, per quanto possibile, il più elevato livello di tutela ambientale senza tuttavia onerare inutilmente il cittadino richiedente.

Tale assunto comporta, come diretto precipitato logico, che il procedimento di screening non si concluda mai con un diniego di VIA, bensì con un giudizio di necessità di sostanziale approfondimento, poiché, ove se ne ipotizzi la lesività in relazione a fattori obiettivamente esternati, sarà necessario imporre l’approfondimento dei suoi esiti finali, al fine di tutelare maggiormente l’ambiente.

Quanto sostenuto dalla Sezione consente di ribadire che i principi europei di precauzione e prevenzione (necessari postulati del giudizio, solo ipotetico, di nocività per l’ambiente sotteso alla procedura di assoggettabilità) non possono essere intesi nel senso della meccanicistica imposizione della VIA ogniqualvolta insorga un dubbio sulla probabilità di danno all’ambiente, poiché, in tal caso, vanificherebbero la portata della specifica disciplina introducendo «limitazioni alla discrezionalità amministrativa non desumibili dalla norma».

In ossequio al principio di economicità dell’azione amministrativa, l’art. 20, comma 5 del D. lgs 152/2006 (nella versione applicabile ratione temporis) prevedeva la possibilità per l’autorità competente di escludere dalla procedura di VIA il progetto privo di impatti negativi e significativi sull’ambiente, con la facoltà per la stessa di adottare le «necessarie prescrizioni».

Le prescrizioni ambientali, come stabilito dal D. lgs. 152/2006, influiscono sui requisiti per la realizzazione, l’esercizio ovvero la dismissione del progetto e, al fine di una legittima autorizzazione del progetto, esigono di essere ottemperate dal proponente, rimettendo all’Autorità pubblica la competenza sul monitoraggio dell’attuazione e sulla tempestiva adozione delle misure correttive che si rendessero eventualmente necessarie.

Nel merito, il Consiglio di Stato ha confermato la sentenza di primo grado rigettando il ricorso in appello, poiché ha ritenuto infondate le censure di parte ricorrente, il quale esigeva di sostituire la propria valutazione del rischio a quella svolta dall’autorità competente.

In conclusione, la Sezione statuisce che il giudizio di non assoggettabilità a VIA consegue all’espletamento di un’istruttoria assolutamente ampia e approfondita da parte dell’Amministrazione, caratterizzata da scelte tecnico-discrezionali in ordine all’individuazione delle misure ritenute più efficaci, economiche ed efficienti in relazione al caso concreto, e che le prescrizioni o “condizioni ambientali” ivi previste, «indipendentemente dal fatto che alcune delle prescrizioni impartite abbiano recepito le indicazioni provenienti dalla stessa società proponente», rappresentano parte integrante dello stesso.

Riferimenti giurisprudenziali

Corte di Giustizia UE 9 settembre 2003 C-236/01 Monsanto

Consiglio di Stato, sezione IV, sentenza n. 4545/2020

Consiglio di Stato, sezione II, sentenza n. 5379/2020

Consiglio di Stato, sezione III, sentenza n. 6655/2019

Consiglio di Stato, sezione V, sentenza n. 6250/2013

Consiglio di Stato, sezione VI, sentenza n. 183/2010