Amministratori

Transizione digitale, una rivoluzione culturale per la Pa

La Pubblica amministrazione dovrebbe formare dipendenti e manager che non siano semplici esecutori

di Alessandro Longo

Per innovare l’Italia bisogna – anche, e soprattutto, – trasformare nel profondo la nostra Pubblica amministrazione e cambiarne la cultura. Ossia il modo di lavorare e di rapportarsi con cittadini e aziende. È oltre un decennio che questo principio è chiaro agli esperti. Alcuni fanno risalire il germe di questi principi addirittura al primo Cad (Codice amministrazione digitale), che ha appena compiuto 18 anni. La differenza è che ora grazie al Pnrr ci sono gli strumenti per attuare questo cambiamento culturale, che è già pian piano in atto nella pubblica amministrazione, come spiega Francesco Olivanti, degli Osservatori del Politecnico di Milano.

«La Pa tradizionale, figlia del ‘700, è stata disegnata per adempiere alle obbligazioni dettate dalla legge e dai regolamenti», ricorda Olivanti. Ora è tutto cambiato, perché l’era digitale impone da una parte rapide evoluzioni, dall’altra una maggiore partecipazione di cittadini e aziende nella trasformazione complessiva. «Alla Pa digitale è richiesto di perseguire obiettivi strategici e operativi, di natura tecnica ma anche politica, di andare oltre gli adempimenti formali e abilitare l’innovazione del Paese, guidandola perfino in qualche caso - aggiunge Olivanti -. In un mondo più dinamico e senza confini, inseguire il cambiamento con gli strumenti del diritto è una strategia perdente». Ecco perché da molti anni tutti gli esperti evidenziano l’importanza – nelle Pa come nelle aziende - di lavorare per obiettivi, non per obblighi.

Ne deriva che nella nuova Pa il dipendente non è più un mero esecutore, interprete passivo di norme (funzione che in futuro potrebbe essere persino demandata ad algoritmi, come si ipotizza a livello internazionale). Il nuovo dipendente pubblico, soprattutto se dirigente, deve avere competenze utili per «arrivare dove le macchine non arrivano, la capacità di governarle, di estrarre valore dai dati, di tradurre il codice di legge in codice informatico, di proteggere dagli effetti collaterali della trasformazione digitale», prosegue Olivanti.

Punti confermati da Sergio Talamo, di Formez, la in-house del dipartimento innovazione del Governo per le attività di ammodernamento della Pa: «Il digitale non è solo un progresso tecnologico, ma un vero cambio di civiltà e una leva potentissima per il miglioramento della prestazione pubblica. Non a caso è un perno del Pnrr, e il ministro per la Pubblica amministrazione Paolo Zangrillo lo ha messo fra i cardini del piano formativo dei dipendenti pubblici». Lo stesso Talamo riconosce che sarà un passaggio difficile. Prova ne è il tasto dolente della comunicazione pubblica. La comunicazione pubblica è ora vincolata a una legge, la 150 del 2000, «pre-digitale e quindi preistorica. Il lavoro di questi anni per la riforma, una “legge 151” che riconosca le attività e le professionalità digitali, è un passaggio fondamentale per la nuova Pa. Se il metaverso e l’intelligenza artificiale propongono soluzioni sempre più avanzate, in forma ad esempio di bot e chatbot, occorre una regia umana che abbia come bussola la qualità dei servizi pubblici e la citizen satisfaction», dice Talamo.

Sono tre i principali obiettivi per cambiare la cultura e il modo di lavorare, secondo il Politecnico: serve un nuovo sistema di controllo e incentivi per i dipendenti, nuovi processi di reclutamento e percorsi di carriera, con profili retributivi adeguati alla trasformazione digitale, e lo sviluppo di una interoperabilità applicativa, di dati e sistemi, tra le amministrazioni. La rivoluzione culturale sarà compiuta, probabilmente, quando la Pubblica amministrazione smetterà di chiedere al cittadino e alle aziende informazioni che dovrebbe già avere in pancia. Il Pnrr prevede tutte queste cose. Ad esempio, contempla la riforma del processo di acquisto Ict, un portale unico del reclutamento, investimenti in capitale umano della Pa e i progetti per la migrazione al cloud e all’interoperabilità. Previsti anche progetti per monitorare le performance (a proposito di lavoro per obiettivi) e per la semplificazione burocratica (per rimuovere inutili ostacoli alla crescita economica e all’innovazione). Tutti progetti che stanno procedendo, anche se i tempi risentono delle diverse complessità. Il portale unico è online da agosto 2021 ed è obbligatorio da novembre 2022, ad esempio, mentre la piena semplificazione burocratica con l’interoperabilità richiederà anni, ancora. Così come la vera transizione culturale della pubblica amministrazione, che tuttavia – almeno – è ormai incardinata su un percorso tracciato.

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