Urbanistica

I valori del catasto in 10 città penalizzano di più i proprietari

A Pordenone e in altri nove capoluoghi l'imponibile Imu è in media superiore al prezzo di mercato

di Cristiano Dell'Oste

Avere una casa a Imperia può essere un affare, almeno sotto il profilo fiscale: si paga l'Imu su un valore catastale medio di 73.600 euro a fronte di un valore di mercato di 202mila euro. In pratica, un rapporto di uno a 2,75. A Pordenone, invece, il risultato è ribaltato: si viene tassati su 125.300 euro, mentre il prezzo si ferma sotto i 90mila euro. Non è una lotteria, perché non ci sono premi in palio. Ma l'incrocio tra imponibile Imu e prezzi di mercato riserva più di una sorpresa. Ed evidenzia, oltre ai difetti del catasto, le fragilità dei mercati immobiliari locali e l'impatto della crisi da Covid-19 sui prezzi delle case. L'elaborazione del Sole 24 Ore, in collaborazione con Nomisma, confronta il valore catastale medio (abitazioni in categoria A/2 e A/3, il 79% del totale) e le quotazioni medie di fine 2020 (per un appartamento di 90 metri quadrati, tipologia usato civile). Sui 103 capoluoghi rilevati dalle statistiche catastali, ce ne sono dieci in cui il prezzo medio di mercato scende sotto l'importo figurativo fiscale. Non solo Pordenone, ma anche Alessandria, Taranto, Mantova e Viterbo. Altri nove capoluoghi, tra cui Venezia e Milano, hanno invece un rapporto superiore a due e sono, per così dire, i più "avvantaggiati" dal catasto.

Le «Raccomandazioni specifiche per Paese» del 2019 della Ue, citate nel Pnrr, suggeriscono una «riforma dei valori catastali non aggiornati». La revisione, però, non rientra nel menu della riforma fiscale il cui disegno di legge delega è atteso a settembre in Consiglio dei ministri. L'atto d'indirizzo approvato a fine giugno dalle commissioni Finanze di Camera e Senato su questo punto non prende posizione, e il silenzio è quanto mai indicativo: nonostante le ipotesi circolate in precedenza, la volontà parlamentare è quella di non riaprire un dossier così delicato.A riportare l'attenzione sul tema è piuttosto l'atto di indirizzo 2021-23 del ministero dell'Economia, che ha sollecitato maggior aggiornamento e integrazione dei database immobiliari «anche nell'ottica di una più equa imposizione immobiliare» (si veda Il Sole 24 Ore del 20 agosto scorso).

Ecco perché è interessante, intanto, inquadrare la situazione. Il raffronto con il valore di mercato mostra quanto possa essere diverso il peso dell'Imu, a parità di delibera: la classica aliquota del 10,6 per mille, applicata da moltissimi Comuni, può tradursi in un tax rate più o meno pesante. Si può passare così dallo 0,4% di carico fiscale sul valore di mercato effettivo a Imperia fino ad arrivare all'1,2% di Pordenone (dove comunque pure l'aliquota ordinaria si ferma all'8,85 per mille). E anche l'11,4 per mille di Milano si traduce in uno 0,5%, distante dai carichi fiscali più pesanti. Dietro i divari tra le città non c'è mai una spiegazione unica. Gli estimi attuali fotografano il mercato di fine anni '80 e da allora ci sono città e quartieri in cui i prezzi sono cresciuti o diminuiti. Padova, ad esempio, è penalizzata anche da rendite catastali tra le più elevate d'Italia, superate solo da Siena e Roma.

Bisogna ricordare poi che si parla sempre di dati medi. Con innumerevoli eccezioni, anche all'interno dello stesso Comune: case in centro con pochi vani hanno rendite più basse, ma se sono in categoria signorile (A/1) il discorso si ribalta; abitazioni di nuova costruzione sono in genere più quotate dal catasto, ma una villetta può pagare di più se è iscritta come A/7 anziché A/2; molti immobili ristrutturati – ma non tutti – hanno visto crescere la rendita (e i contribuenti che sfruttano i bonus sui lavori sono ormai 10,3 milioni). E ancora: alcuni Comuni come Roma, Milano, Bari e Lecce sono stati oggetto di revisioni delle rendite più o meno estese, mentre nella maggioranza degli altri non si è intervenuti. In generale, fuori dai capoluoghi è probabile che il catasto sia più penalizzante per i proprietari, perché nei piccoli centri i valori di mercato riflettono di solito le minori possibilità di affitto e rivendita.

INTERVISTA/1 - Giorgio Spaziani Testa, presidente di Confedilizia
«Meglio non fare nulla anziché una riforma che aumenti le imposte»

Giorgio Spaziani Testa, presidente di Confedilizia, l'atto di indirizzo 2021-23 del ministero dell'Economia ha riportato in primo piano l'aggiornamento dei database immobiliari.
Bisogna vedere in cosa si tradurrà l'invito del ministero, al momento non sembra avere nulla a che fare con la riforma del catasto. Piuttosto, siamo lieti che il Parlamento non abbia inserito il catasto nella riforma fiscale: il fatto che i parlamentari non abbiano scritto nulla nell'atto rivolto al Governo, dopo le ipotesi circolate, ha un significato politico.
Quindi è preferibile restare con il sistema attuale?
Non vorrei essere quello che dice «no» a tutto. Qualsiasi riforma se ben fatta è gradita, ma servono una legge delega e decreti delegati ben scritti, forse non compatibili con una riforma fiscale a spron battuto come questa. E ricordiamo che si può sempre peggiorare.
In che senso?
Molti dimenticano che il catasto è la base per la tassazione. Dieci anni fa la manovra Monti ci ha fatto passare dai 9 miliardi di Ici ai 20-22 di Imu, ma spesso si dà per scontato che qualcuno sta pagando troppo poco. La stessa Unione europea, quando raccomanda di aggiornare gli estimi, punta a ridurre la tassazione sul lavoro, cioè ad aumentare il prelievo immobiliare.
I dati dicono che ci sono una decina di città, da Pordenone a Taranto ad Alessandria, in cui i prezzi medi delle case sono già inferiori ai valori catastali.
Se le medie sono quelle, pensiamo anche agli immobili a valore zero, perché non vendibili, né affittabili, anche nei piccoli centri. Il tema qui è più politico che scientifico-estimativo. E penso anche a tutto il settore non residenziale, dai negozi ai capannoni agli uffici, colpito dal Covid. Più della riforma, servono misure urgenti: cedolare estesa agli affitti commerciali, proroga del tax credit locazioni, sgravi sugli immobili inutilizzati, ad esempio. E non sarebbero misure insostenibili: togliere l'Imu nei Comuni fino a 3mila abitanti costa 800 milioni.

INTERVISTA/2 - Luca Dondi, amministratore delegato di Nomisma
«Revisione necessaria ma servono pragmatismo e volontà politica»

Luca Dondi, amministratore delegato di Nomisma, cosa emerge dalla fotografia del divario tra prezzi delle case e valori catastali?
È un'immagine sconcertante. Non è una novità, ma rimane l'impressione con sperequazioni evidenti tra i Comuni, che dipendono dal diverso peso che le singole categorie hanno all'interno del Comune e dall'aggiornamento mancato delle rendite. E c'è anche una sperequazione all'interno dei Comuni.
La riforma del catasto oggi non è in agenda. Cosa ne pensa?
L'idea dell'aggiornamento del sistema è quanto mai opportuna. E credo che l'autorevolezza del Governo e la presenza di tanti partiti nella maggioranza potrebbero creare le condizioni per intervenire. Ma ho molti dubbi che lo si riesca a fare e non dobbiamo nasconderci le difficoltà.
A quali difficoltà si riferisce?
L'invarianza di gettito non può essere garantita a livello comunale, altrimenti non si mette mano alla sperequazione. Ma se il gettito di riferimento è quello nazionale, allora sarà inevitabile che in alcune città molti proprietari si trovino a pagare di più, e questo apre un tema di opportunità politica non banale.
Di recente è stata rilanciata l'idea di costruire un catasto che parta dalla vera capacità degli immobili di esprimere reddito.
Abbiamo perso anni convinti che l'unico tema fossero le planimetrie. In realtà il problema principale è che non c'è un sistema di valori riconosciuto che dia una fotografia del valore degli immobili, né della loro redditività.
Cosa si può fare per rimediare?
Serve pragmatismo: se vogliamo un sistema migliore possiamo averlo, se vogliamo il sistema perfetto è impossibile. La strada scelta in passato era fin troppo burocratica e partecipativa, con la creazione di oltre cento commissioni provinciali. Piuttosto, si utilizzi anche il patrimonio informativo raccolto da realtà private, si determinino dei valori presunti e si dia ai privati la possibilità di chiedere la rettifica dei risultati anomali.

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