Fisco e contabilità

Rischio caos sulle addizionali dopo la riforma Irpef, ok ai bilanci locali al 31 marzo

L’adeguamento non può essere compensato dall’effetto detrazioni

di Marco Mobili e Gianni Trovati

In Campania in queste settimane si è acceso il dibattito sulla riforma delle addizionali proposta dalla giunta regionale guidata da Vincenzo De Luca, che punta a ridurre le tasse sulla fascia di reddito più bassa aumentandole però per gli altri contribuenti. Ora quel progetto va cestinato e rifatto, ma la discussione promette di accendersi in tutte le Regioni. Perché le amministrazioni territoriali dovranno adeguare le loro addizionali al nuovo impianto dell’Irpef nazionale.

La norma, inserita nel maxiemendamento governativo che ha riscritto l’Irpef, finora è passata sotto silenzio. Ma per le imposte locali non è una passeggiata. La ragione è semplice.

Le addizionali delle Regioni, e quelle dei 2.959 Comuni che hanno scelto di differenziare le aliquote per fasce di reddito (sono il 43,6% degli enti che applicano l’addizionale), deve seguire gli scaglioni previsti a livello nazionale. Dall’anno prossimo aliquote e scaglioni si riducono da cinque a quattro. E a livello locale dovrà accadere la stessa cosa.

C’è però un aspetto che complica ulteriormente il tutto. Nell’Irpef nazionale il cambio di aliquote è accompagnato da una revisione profonda delle detrazioni, che vengono aumentate in modo tale da garantire a tutti una riduzione d’imposta rispetto ai livelli attuali. Ma nelle addizionali le detrazioni non esistono: contano solo le aliquote.

Da questo punto di vista, il passaggio dal sistema articolato in cinque scaglioni al nuovo impianto basato su quattro lascia immutate le richieste per i redditi fino a 15mila euro, le abbassa di due punti (dal 27% al 25%) per quelli fra 15 e 28mila euro, offre uno sconto di tre punti alle dichiarazioni fra 28mila e 50mila euro (dal 38 al 35%) ma prospetta aumenti anche assai bruschi per i redditi superiori. Nella fascia 50-55mila euro si passa dal 38 al 43%, e fra 55 e 75mila il salto è di due punti (dal 41 al 43%) mentre l’aliquota resta immutata al 43% sopra quei livelli. Prima conseguenza: il semplice trasporto proporzionale delle addizionali dal vecchio al nuovo sistema porterebbe a chiedere di più ai redditi fra 50 e 75mila euro. Ma c’è di più.

I calcoli in Regioni e Comuni saranno ovviamente guidati dall’obiettivo di mantenere con la nuova Irpef il gettito che avevano in programma con la vecchia. Spalmandolo però su quattro gruppi di contribuenti e non più su cinque. In una piramide schiacciata al ribasso come quella dei redditi dichiarati dagli italiani, 32 milioni di contribuenti su 41,5 milioni (il 77%) si affollano nei primi due scaglioni dell’Irpef 2022.

In un quadro del genere, il rischio che a far tornare i conti sia un aumento sugli ultimi due scaglioni è concreto, ed è particolarmente intenso per i redditi fra 50 e 75mila euro che nel nuovo impianto entreranno nella famiglia dei “più ricchi” per il fisco.

Tecnici e assessori dovranno lavorare parecchio di calcolatrice per trovare una quadratura del cerchio che non si annuncia semplice. Per farlo avranno tempo fino al 31 marzo.

Proprio per questa ragione ieri mattina la conferenza Stato-Città ha deciso il rinvio a fine marzo dei termini per i preventivi degli enti locali, come anticipato su NT+ Enti locali & edilizia di ieri, che si porta dietro la scadenza delle delibere tributarie. «Una notizia importante per i Comuni che avranno il tempo di valutare gli effetti della riforma fiscale», sottolinea il vicepresidente dell’Anci Roberto Pella.

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