Urbanistica

La direttiva europea dovrà essere socialmente sostenibile

L’obiettivo ambizioso di dimezzare le emissioni di gas a effetto serra entro il 2030 è pienamente condiviso dal mercato

di Mario Abbadessa *

Il dibattito aperto sulla direttiva europea per la sostenibilità ambientale degli immobili dovrebbe concentrarsi su un aspetto essenziale a garantirne la reale efficacia, ovvero la sostenibilità della norma, sia in termini economici che sociali. La direttiva, così come proposta, non considera che intervenire oggi per adeguare il parco immobiliare esistente è, in buona sostanza, non sostenibile da un punto di vista economico, né la scelta migliore per venire incontro ai bisogni della comunità. Si dovrebbe partire dall’introduzione di stimoli efficaci per accelerare la realizzazione di immobili secondo i più elevati standard energetici e velocizzare l’iter di approvazione dei nuovi investimenti in chiave green.

Mettere a disposizione dei cittadini edifici a impatto zero, o almeno vicino a zero, è per chi opera nel mercato immobiliare un punto di partenza e non d’arrivo. L’obiettivo ambizioso di dimezzare le emissioni di gas a effetto serra entro il 2030 e ottenere la neutralità climatica entro il 2050 è pienamente condiviso dal mercato, tanto più che l’efficienza energetica è da tempo considerata un prerequisito da clienti, investitori e banche finanziatrici che chiedono di costruire secondo standard sempre più avanzati di sostenibilità ambientale. È però del tutto evidente come l’introduzione di un obbligo normativo non sia sufficiente per raggiungere quell’obiettivo e potrebbe persino portare ad effetti negativi, come l’abbandono di ampie porzioni del patrimonio immobiliare esistente e l’obbligo per i proprietari di effettuare interventi migliorativi con investimenti importanti che non sono alla portata di tutti.

La messa a norma del patrimonio immobiliare dovrebbe essere graduale e accompagnata da interventi che consentano un pieno adeguamento di domanda e offerta, e per farlo sarebbe importante introdurre a livello europeo nuovi strumenti di finanziamento, anche guardando ad altre best practice internazionali. Come la creazione di un Fondo sovrano, già fatto negli Usa, per guidare la transizione energetica degli immobili che, a livello globale, generano il 36% delle emissioni dirette e indirette di gas a effetto serra e sono responsabili del 40% dei consumi energetici.

Qualsiasi sforzo normativo e industriale si rivelerà inefficace se non iniziamo a ragionare anche in termini di sostenibilità sociale oltre che ambientale, impegnandoci a livello di comunità per far sì che abitare in una casa efficiente non sia un privilegio per pochi. Rendere la sostenibilità condivisa su larga scala è la vera sfida, ma non la vinceremo se pensiamo di limitarci ad introdurre l’obbligo di un bollino green sugli edifici. Servono politiche di rigenerazione urbana che consentano il superamento definitivo del paradigma della città polarizzata, caratterizzata da condizioni di vita nettamente diverse tra centro e periferie. Ridisegnare le città in modo policentrico, mettendo al centro gli edifici green, è il vero obiettivo a cui il nostro Paese dovrebbe puntare, dialogando con il mercato.

* Country manager Hines Italy

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