Appalti

Clausola di revisione prezzi inefficace se la durata del contratto è stata rinegoziata

A meno che non sia stato espressamente previsto in sede di rinegoziazione, dice il Tar Campania

di Roberto Mangani

Anche se nel contratto oggetto dell'affidamento originario è esplicitamente prevista una clausola di revisione prezzi, il meccanismo revisionale non opera se tale contratto ha avuto una durata più lunga di quella inizialmente prevista, in virtù di una rinegoziazione intervenuta tra le parti e non per effetto di una mera proroga tecnica del contratto originario. Per i periodi ulteriori in cui il contratto ha avuto esecuzione oltre la sua durata originaria la revisione prezzi può essere riconosciuta solo se in sede di rinegoziazione sia stata inserita una esplicita clausola ai sensi della lettera a) del comma 1 dell'articolo 106 del D.lgs. 50/2016. Per altro verso, nel caso non sia prevista una clausola di revisione prezzi, non si può sostenere che l'appaltatore rimanga privo di ogni forma di tutela a fronte dell'anomalo incremento del costo del servizio. È infatti sempre possibile che lo stesso appaltatore, a fronte di un'imprevedibile e eccezionale incremento dei costi che renda la sua prestazione non più remunerativa, ricorra alla risoluzione del contratto per eccessiva onerosità sopravvenuta ai sensi dell'articolo 1476 del codice civile. Sono questi i principi affermati dal Tar Campania, Sez. V, 16 giugno 2022, n.4095, con una pronuncia molto attuale che affronta ancora una volta il tema del caro materiali, fornendo indicazioni che vanno lette non solo alla luce delle norme precedentemente vigenti ma anche in relazione alla disciplina in tema di revisione/compensazioni introdotta nei provvedimenti legislativi più recenti.

Il fatto
A seguito dell'aggiudicazione di una procedura di gara un'impresa stipulava un contratto di appalto per lo svolgimento del servizio di vigilanza a favore di una ASL per una durata quinquennale dall'anno 2011, e quindi con scadenza al 2016. Nel contratto era espressamente previsto che il corrispettivo pattuito fosse soggetto a revisione periodica in applicazione di una specifica clausola inserita ai sensi dell'articolo 115 del D.lgs. 163/2006, all'epoca vigente. Di conseguenza, a decorrere dal secondo anno di durata del contratto, l'impresa appaltatrice aveva richiesto il riconoscimento del compenso revisionale. A fronte del silenzio dell'ente appaltante, l'impresa si era rivolta al giudice ordinario ottenendo la condanna del primo al riconoscimento di quanto dovuto, cosicchè il medesimo ente appaltante aveva provveduto alla relativa liquidazione.

Successivamente alla scadenza naturale del contratto l'appaltatore aveva continuato a svolgere le sue prestazioni senza soluzione di continuità, in virtù di specifiche delibere assunte dall'ente appaltante. Tuttavia, con riferimento al periodo successivo alla scadenza contrattuale l'ente appaltante aveva negato l'adeguamento del corrispettivo, sostenendo che non si trattasse di una proroga in senso proprio ma di una rinegoziazione del contratto originario, nell'ambito della quale non poteva essere riconosciuta la revisione prezzi in mancanza di un esplicito accordo tra le parti in tal senso. Il provvedimento di riconoscimento del compenso revisionale veniva impugnato dall'appaltatore davanti al giudice amministrativo sia con riferimento a presunti errori di calcolo sia in relazione al dinego opposto per il periodo successivo alla scadenza originaria del contratto.Il Tar Campania si è pronunciato con un'articolata sentenza, con cui ha solo parzialmente accolto il ricorso con specifico riferimento alla quantificazione del compenso revisionale, mentre lo ha respinto per il profilo più significativo relativo al riconoscimento dello stesso per il periodo successivo alla scadenza naturale del contratto.

La giurisdizione
In via preliminare il Tar ha affrontato la questione di giurisdizione. Sul punto il principio affermato – difficilmente contestabile – è che la competenza a decidere sulla controversia spetti al giudice amministrativo in virtù della chiara previsione introdotta dal Codice del processo amministrativo (articolo 133, comma 1, lettera e) che devolve alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo tutte le controversie relative alla clausola di revisione prezzi e ai relativi provvedimenti applicativi. Il riconoscimento in termini così ampi e generalizzati della giurisdizione amministrativa – quindi estesa anche alla quantificazione del compenso revisionale – ha superato il precedente orientamento anche giurisprudenziale, secondo cui solo le controversie relative all'an – cioè al riconoscimento del compenso revisionale – erano di competenza del giudice amministrativo, mentre quelle attinenti al quantum – cioè alla quantificazione di detto compenso - spettavano alla cognizione del giudice ordinario.

Natura e finalità della revisione prezzi
In via preliminare il giudice amministrativo ricorda la previsione dell'articolo 115 del D.lgs. 163/2006 – norma vigente all'epoca di conclusione del contratto originario – secondo cui tutti i contratti ad esecuzione periodica o continuativa relativi a servizi o forniture debbono contenere una clausola di revisione periodica del prezzo. La finalità di questa clausola – il cui inserimento negli appalti di forniture e servizi era quindi all'epoca obbligatorio – è quello di ripristinare l'equilibrio contrattuale a fronte di aumenti dei costi dei fattori della produzione eccedenti la normale alea. Ciò a tutela non solo delle legittime ragioni dell'appaltatore, ma anche di quelle dell'ente appaltante che potrebbe subire un pregiudizio in quanto l'appaltatore, a fronte di un contratto divenuto diseconomico, potrebbe essere indotto a non garantire la necessaria qualità delle prestazioni o addirittura a interrompere l'esecuzione delle stesse. In questa logica la giurisprudenza che si è formata in relazione alla vigenza del richiamato articolo 115 del D.lgs. 163 ha affermato che lo stesso prevale su eventuali pattuizioni contrarie o mancanti contenute nel contratto di appalto di forniture e servizi, per cui la revisione del corrispettivo è obbligatoria e va applicata secondo i parametri indicati dalla norma. Di conseguenza nel caso di specie l'ente appaltante avrebbe dovuto applicare il meccanismo revisionale a decorrere dal secondo anno di durata del contratto e secondo i parametri stabiliti dal legislatore.

La quantificazione del corrispettivo revisionale
Con riferimento alla quantificazione del corrispettivo dovuto in sede revisionale, il meccanismo previsto dal legislatore stabilisce che la revisione venga operata sulla base dei dati pubblicati semestralmente tenuto conto di quanto rilevato dall'Istat in merito all'andamento dei prezzi dei principali beni e servizi acquisiti dalle amministrazioni appaltanti. Tuttavia la giurisprudenza ha chiarito che in mancanza di tali dati l'adeguamento del corrispettivo debba comunque essere effettuato dall'ente appaltante, calcolandolo sulla base dell'indice di variazione dei prezzi per le famiglie di operai e impiegati, pubblicato mensilmente sempre dall'Istat. Tale indice deve essere considerato nella sua totalità, senza alcuna decurtazione. Solo in questo modo infatti viene assolta pienamente la funzione riequilibratrice propria della revisione prezzi, che sarebbe parzialmente neutralizzata in caso di riduzione della misura del richiamato indice ISTAT. Non vi è quindi spazio per alcun potere discrezionale dell'ente appaltante nel senso della riduzione di tale indice; ma non vi è neanche la possibilità per l'appaltatore di reclamare un maggior compenso revisionale rispetto a quello risultante dalla sua applicazione, in base a proprie autonome elaborazioni.

La revisione prezzi e la durata del contratto
Sotto questo profilo il giudice amministrativo ha respinto l'istanza avanzata dal ricorrente indirizzata al riconoscimento della revisione prezzi anche per il periodo successivo alla scadenza originaria del contratto. Secondo il Tar Campania tale riconoscimento può operare solo in relazione alle proroghe contrattuali in senso stretto e non in tutti gli altri casi in cui la prosecuzione del contratto oltre la sua naturale scadenza sia il frutto di specifiche manifestazioni di volontà delle parti idonee a dar luogo a distinti e autonomi rapporti contrattuali, ancorchè con contenuto analogo a quello del contratto originario. La tesi opposta non sarebbe coerente con la ratio della revisione prezzi, che è appunto quella di adeguare l'originario corrispettivo in funzione di riequilibrio contrattuale. Se infatti le parti hanno proceduto alla rinegoziazione del contratto, è da ritenere che in tale rinegoziazione abbiano considerato anche la rideterminazione del corrispettivo, per cui non si pone un tema di ulteriore revisione dello stesso.

Sotto il profilo della distinzione tra mera proroga e rinnovo del contratto, la giurisprudenza amministrativa ha chiarito che si ha proroga nel caso in cui si abbia un semplice differimento del termine finale del contratto, mentre si ha rinnovo quando vi è stata una rinegoziazione del contratto, anche se tale rinegoziazione si sia conclusa con l'integrale conferma delle originarie pattuizioni. Nel caso in esame tale rinegoziazione è effettivamente avvenuta, giacchè le parti hanno proceduto a una vera e propria novazione contrattuale, adotta sulla base delle specifiche disposizioni contenute nel Decreto legge 78/2015, che prevedono un meccanismo di proposta di rinegoziazione del contratto da parte dell'ente appaltante e di relativa accettazione da parte dell'appaltatore. Da qui il rigetto dell'istanza del ricorrente in ordine al riconoscimento della revisione prezzi per il periodo ulteriore rispetto alla durata originaria del contratto.

L'articolo 106 del D.lgs. 50/2016
Considerato quindi che ci si trova di fronte a un nuovo rapporto contrattuale, il giudice amministrativo ha analizzato per completezza se si possa configurare una legittima richiesta di compenso revisionale da parte dell'appaltatore in base alle norme vigenti all'epoca della ritenuta conclusione del nuovo contratto. Il riferimento normativo è costituito dall'articolo 106 del D.lgs. 50/2016. Nello specifico, non può essere invocata la disposizione della lettera c) del comma 1, che fa riferimento a modifiche contrattuali relative all'oggetto del contratto, quindi relative a variazioni progettuali sotto il profilo tipologico, strutturale e funzionale, peraltro dovute a circostanze impreviste e imprevedibili. La disposizione di riferimento può essere invece individuata nella lettera a) del medesimo comma 1. Essa consente modifiche contrattuali purché le stesse siano state previste nella documentazione di gara, specificando che tali modifiche possono comprendere anche clausole di revisione dei prezzi. Tuttavia la norma – diversamente dalla previsione contenuta nel D.lgs. 163 – rimette alla discrezionalità dell'ente appaltante la scelta se inserire o meno nei documenti di gara una clausola di revisione del prezzo contrattuale. In mancanza di tale clausola, l'appaltatore non può invocare la revisione del corrispettivo contrattuale. Ciò non significa che lo stesso rimanga totalmente sprovvisto di mezzi di tutela rispetto a un esorbitante incremento dei costi del servizio da rendere, tali da annullare qualunque remuneratività del contratto. Infatti, qualora tale incremento si verifiche l'appaltatore – anche se il contratto non lo prevede o addirittura lo esclude – può richiedere, se del caso anche davanti al giudice ordinario, la risoluzione del contratto in corso di esecuzione per eccessiva onerosità sopravvenuta ex articolo 1467 del codice civile.

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