Appalti

Appalti Pnrr, enti locali latitanti sulle procedure antiriciclaggio

<span class="argomento">Lo studio Uif. </span>Tra il 2011 e il 2021 Regioni, Province e Comuni hanno istituito solo 151 uffici ad hoc, di cui 35 attivi

di Ivan Cimmarusti

Il progetto di appalti del Governo per attuare la ripresa socioeconomica rischia di avere una falla nel punto più strategico: gli enti locali. Regioni, Province e Comuni sono i principali esecutori del maxi-investimento da 235,12 miliardi di euro del Pnrr ma hanno un sistema di prevenzione antiriciclaggio lacunoso e molto limitato. Al punto che da otto Regioni non sono mai giunte segnalazioni sospette, mentre due non risultano aver mai neanche costituito uffici ad hoc.

Prevenzione violata

Per cogliere la portata delle contromisure antiriciclaggio attuate nelle pubbliche amministrazioni periferiche, l’Unità di informazione finanziaria (Uif) di Bankitalia diretta da Claudio Clemente, ha pubblicato un bollettino in cui si propongono dati dal 2011 al 30 novembre 2021.

L’analisi non lascia scampo: in dieci anni, pur in presenza di una normativa e di «un perimetro pubblico molto ampio», le varie Pa hanno istituito e iscritto al portale InfostatUif - che raccoglie le comunicazioni per operazioni sospette - solo 151 enti gestori antiriciclaggio. Questi ultimi sono gli uffici deputati all’individuazione dei presunti casi di riciclo del denaro sporco compiuti dai privati nei rapporti con la Pa, che poi sono segnalati all’autorità della Banca d’Italia.

La lista è molto breve: si va dai 30 gestori della Lombardia fino ai casi di Valle d’Aosta e Molise, che nei dieci anni non risultano aver mai individuato un gestore. E pensare che l’inosservanza della disposizione può generare la responsabilità dirigenziale, secondo l’ordinamento del lavoro pubblico. Il sistema antiriciclaggio delle Pa, infatti, ha una funzione di prevenzione, in quanto gli enti locali sono addetti al controllo in procedimenti di autorizzazione o concessione, procedure di appalto o di erogazioni finanziarie.

Per comprendere la lentezza con cui le amministrazioni si stanno adeguando alla normativa, basta considerare che nel 2017 – in corrispondenza dell’introduzione dell’articolo 10 al Dlgs 231/2007 (normativa antiriclaggio), che ha imposto il dovere di collaborazione del pubblico – solo 44 Pa erano iscritte al portale Infostat. Un ulteriore, lieve, aumento, c’è stato tra il 2018 e il 2019: con la diffusione da parte dell’Uif di un primo set di indicatori per agevolare le amministrazioni nell’individuazione delle operazioni sospette, si è raggiunto un picco con 62 iscrizioni, per complessivi 106 uffici collegati al portale. Tra il 2020 e il 30 novembre 2021, invece, c’è stata una flessione di iscrizioni, scese, rispettivamente, a 23 e 22, arrivando così ai 151 gestori.

La produttività non va meglio. Sempre nel decennio hanno inviato almeno una comunicazione sospetta solo 35 uffici, pari a un quarto degli iscritti all’Infostat: dieci del Lazio, sei della Lombardia, quattro di Emilia-Romagna e Veneto, tre di Piemonte e Toscana, due della Puglia e uno di Trentino-Alto Adige, Abruzzo e Campania. All’appello non hanno mai risposto Sardegna, Sicilia, Calabria, Basilicata, Umbria, Marche, Liguria e Friuli-Venezia Giulia. I risultati di questa scarsa produttività sono visibili nel bollettino annuale, tanto che le Pa risultano fanalino di coda: in tutto il 2021 ne hanno mandate 128, contro le 123.714 di intermediari e operatori finanziari (banche, Poste e altri) e le 15.682 dei non finanziari (notai, avvocati, commercialisti e altri). Se invece si considera il periodo che va dal 2007, cioè l’introduzione della normativa antiriciclaggio, al 30 novembre 2021, si scopre che le comunicazioni all’Uif del pubblico sono state, in tutto, appena 436: il 75,4% dalle amministrazioni centrali e solo il 17,5% dagli enti locali.

Fattori di rischio

Eppure, non sono pochi gli alert che indicano fattori di rischio negli uffici pubblici del Paese. Tra il 2018 e l’estate del 2021, per esempio, Gdf e procure regionali della Corte dei conti hanno contestato 15,6 miliardi di danni erariali, compiuti da 19.417 soggetti, tra i quali anche dipendenti delle Pa e imprenditori con pochi scrupoli. A ciò si aggiunga che nel 2021, per l’Uif, risultano in Italia circa 150mila imprese con sospette «connessioni a contesti di criminalità organizzata». Esiste, dunque, un pericolo in vista degli investimenti Piano nazionale.

Secondo gli analisti dell’Uif, infatti, «l’avvio della fase operativa del Pnrr rende ancor più necessario che le Pa accrescano la loro sensibilità per evitare che le risorse pubbliche vengano di fatto sottratte alla loro destinazione e che l’intervento di supporto rappresenti l’occasione per un rafforzamento delle mafie» nell’economia

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