Amministratori

Partecipate, nullo il licenziamento del direttore generale per motivi politici

Le contestazioni disciplinari poste alla base del caso si sono rivelate strumentali

di Michele Nico

Nelle società partecipate deve ritenersi nullo il licenziamento originato da motivazioni di tipo politico, in quanto non è legittimo estromettere un dipendente da una società, ancorché a totale partecipazione pubblica, per ragioni estranee alla sua professionalità e legate a equilibri politici locali. Questo il principio affermato dal Tribunale di Verona, Sezione Lavoro, con la sentenza 8 febbraio 2022. Sotto il profilo giuridico, la decisione ha poi precisato che la fattispecie di nullità nello scenario descritto si configura soltanto nel caso in cui la motivazione illecita di carattere politico sia determinante, cioè rappresenti l'unica ed esclusiva ragione del recesso dal rapporto di lavoro.

Il caso
Nella vicenda in esame il direttore generale di una società partecipata operante nel settore di igiene urbana è stato licenziato per giusta causa in seguito a una lettera recante numerose contestazioni disciplinari. Di qui il ricorso dell'interessato, che si è rivolto al Tribunale sostenendo che il licenziamento sarebbe stato dovuto non già a ragioni inerenti alla sua professionalità, ma a una malcelata decisione presa all'esterno della società pubblica, e riconducibile al gioco degli equilibri politici locali.
A fronte di ciò la Sezione ha rilevato, in via preliminare, che una siffatta rappresentazione degli eventi impone al datore di lavoro l'onere di provare l'inesistenza della discriminazione che, nel quadro descritto, comporta un'ipotesi di illegittimità suscettibile di inficiare la validità stessa del licenziamento in questione. Dopo di che il processo è stato istruito attraverso l'analisi delle contestazioni disciplinari, l'audizione di testimoni e l'interrogatorio delle parti interessate. A seguito della disamina svolta è emersa l'infondatezza di tutte le contestazioni mosse dalla società all'operato del direttore generale (mancata rotazione dei fornitori, inerzia nella gestione dell'attività aziendale, ritardo nella fatturazione dei servizi, mancata stipula di contratti con i terzi), sia per il fatto che nessuna condotta ascritta al direttore generale si è rivelata produttiva di un danno economico per l'azienda pubblica, sia perché le irregolarità amministrative del relativo operato costituivano una prassi consolidata e risalente nel tempo, che in precedenza non era mai stata oggetto di addebito alla direzione generale.

La giusta causa
Tutto ciò ha indotto il Tribunale a ritenere che le contestazioni disciplinari poste alla base del licenziamento del direttore generale fossero strumentali, e che il licenziamento fosse non solo ingiustificato, ma anche nullo in quanto sorretto da un motivo illecito determinante. Di qui l'accoglimento del ricorso con l'ordine alla società di reintegrare il dirigente e di corrispondergli le retribuzioni globali maturate dal giorno del licenziamento fino all'effettiva reintegra, oltre al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali, nonché alla maggiorazione per interessi e rivalutazione monetaria.
La decisione in esame conferma che per le società partecipate deve applicarsi con estremo rigore il principio generale secondo cui il licenziamento per giusta causa può essere disposto dal datore di lavoro soltanto in casi limitati, ossia quando il lavoratore realizza comportamenti disciplinarmente rilevanti così gravi da non consentire anche in via provvisoria la prosecuzione del rapporto di lavoro.

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