Urbanistica

Pianificazione, il Comune non è tenuto a motivare le scelte sul Prg rispetto alle osservazioni dei privati

Lo precisa il Consiglio di Stato con la sentenza n.21/2013

di Giuseppe Cassano

Le osservazioni presentate dai privati in occasione dell'adozione di un nuovo strumento di pianificazione del territorio costituiscono un mero apporto nel procedimento di formazione dello strumento, con conseguente assenza in capo alla Pa un obbligo puntuale di motivazione, oltre a quella evincibile dai criteri desunti dalla relazione illustrativa del piano stesso in ordine alle proprie scelte discrezionali assunte per la destinazione delle singole aree.

È quanto ha precisato il Consiglio di Stato, con la sentenza n. 21 del 2 gennaio 2023, affrontando il tema della pianificazione urbanistica da parte del comune. È da premettere che le scelte di pianificazione sono espressione di un'ampia valutazione discrezionale, insindacabile nel merito, e non risultano condizionate dalla indicazione, nel precedente piano regolatore, di destinazioni d'uso edificatorie diverse e più favorevoli, essendo sfornita di tutela la generica aspettativa alla non reformatio in peius o alla reformatio in melius delle destinazioni impresse da un previgente Prg. L'esercizio della discrezionalità riguarda, inoltre, non soltanto scelte strettamente inerenti all'organizzazione edilizia del territorio, bensì afferenti anche al più vasto e comprensivo quadro delle possibili opzioni inerenti al suo sviluppo socio-economico.

Per questo, come chiarisce il Consiglio di Stato, il sindacato giurisdizionale di legittimità sugli atti di pianificazione urbanistica non può estendersi, come anticipato, alle valutazioni di merito, salvo che risultino inficiati da errori di fatto o abnormi illogicità, ovvero che, per quanto riguarda la destinazione di specifiche aree, risultino confliggenti con particolari situazioni che abbiano ingenerato affidamenti e aspettative qualificate

.Precisamente, con riguardo a specifiche, singole, ipotesi può accadere che l'interesse di natura privatistica azionato dal privato (magari sin dal momento procedimentale, a mezzo delle osservazioni ivi svolte, e poi reiterato in questa sede giustiziale con il relativo ricorso), nonostante tale sua intrinseca natura, riverberi oggettivamente in interesse pubblico. Si pensi ad una nuova pianificazione che disponga la chiusura di un polo industriale e alle potenzialmente più che significative ricadute occupazionali che possono scaturirne. Con la peculiare conseguenza che un tale interesse – che nasce intrinsecamente privato, ma che si colora di profili oggettivamente pubblici generali per la sua diretta capacità di incidere sulla prosperità economia della popolazione locale – deve essere adeguatamente attinto e ponderato (in sede istruttoria, valutativa e motivazionale) rispetto a quello ambientale, in tesi antitetico, anziché essere semplicemente pretermesso.

Rimane dunque valida l'affermazione, in punto di diritto, secondo cui la posizione del privato nei confronti dell'attività di pianificazione urbanistica non è di aspettativa qualificata, tale da diversificarne il livello di tutela rispetto a quella degli altri consociati. Con la precisazione che le sole evenienze generatrici di affidamento "qualificato" sono ravvisabili nell'esistenza di convenzioni di lottizzazione, di accordi di diritto privato intercorsi tra Comune e proprietari, di giudicati di annullamento di dinieghi di concessioni edilizie o di silenzio-rifiuto su domanda di concessione, ovvero comunque, avuto riguardo alla specificità del singolo caso concreto, nella titolarità di un qualsiasi diritto all'effettuazione di una determinata attività.

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