Appalti

Calcolo anomalia: norma chiara, ma il Comune equivoca lo stesso e sbaglia l'aggiudicazione

Una vicenda finita di fronte al Tar Calabria dimostra che la vulgata su norme intricate e ricorsi è spesso solo retorica

di Mauro Salerno

Hai voglia a dare la colpa della lentezza delle gare e dell'eccesso di ricorsi alla burocrazia e/o alle norme intricate del codice appalti. Il problema è che nel ricco e bizzarro mondo dei contratti pubblici si finisce per scomodare i giudici del Tar anche quando le regole sarebbero sufficientemente chiare per ridurre al minimo le possibilità di equivoci. Invece...

Invece a Scilla, solo per fare l'ultimo esempio messo in evidenza dalla sentenza di un Tar, accade che alla procedura aperta da 1,2 milioni per migliorare fogne e impianto di depurazione rispondano 11 imprese. Il criterio scelto per assegnare l''appalto è quello del massimo ribasso. Dunque va individuata la soglia di anomalia. Il calcolo sarebbe pure difficile, ma per quello esistono ormai i computer e i fogli excel. Niente di insuperabile, insomma.

Piuttosto bisogna capire quale formula usare. In questo il codice appalti è abbastanza chiaro. Per evitare che le imprese possano capire in anticipo quale criterio verrà utilizzato e accordarsi sulle offerte il Dlgs 50/2016 mette in campo soluzioni diverse. In presenza di più di 15 offerte bisogna utilizzare una formula (quella dell'art. 97 comma 2), quando le offerte sono meno di 15 un'altra (quella dell'art. 97 comma 2-bis). Tutto chiaro no?

La sentenza (n. 224 del 3 marzo 2023) con cui il Tar Calabria ha condannato il comune di Scilla a revocare l'aggiudicazione della gara dimostra evidentemente di no.

È accaduto infatti che i funzionari comunali, pur di fronte a 11 offerte (numero indubitabilmente e inferiore a 15) abbiano scelto di individuare la soglia di anomalia seguendo la formula indicata dal codice appalti nel caso di numero di offerte uguale o maggiore a 15. Risultato? L'impresa che avrebbe vinto se fosse stata applicata la formula giusta viene superata da un'altra, ma fa ricorso e vince. Il Comune prova a difendere il proprio operato (e dunque l'aggiudicazione a un'impresa diversa) ma viene condannato anche a rifondere le spese.

Ora a questa vicenda, come a mille altre che capitano ogni giorno nel settore delle gare pubbliche, si può guardare con occhi diversi. Questa volta non è questione di discrezionalità (le norme danno indicazioni rigide e chiare). Si può certo invocare la necessità di qualificare le stazioni appaltanti (roba di cui si discute invano da anni proprio perché i piccoli enti non vogliono perdere il controllo delle gare), si può pensare anche ad altro. Di sicuro il codice appalti, in questo come in tanti altri casi, ne esce da incolpevole. E anche la retorica su burocrazia e norme troppo difficili da interpretare qualche volta ne dovrebbe tenere conto.

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