Urbanistica

Paesaggio, nelle aree vincolate serve il permesso anche per le piscine prefabbricate

Lo ribadisce il Tar Lazio respingendo il ricorso di due proprietari contro il diniego della sanatoria da parte del Comune

di Ivana Consolo

Con la sentenza numero 8325 emessa in data 21 giugno ultimo scorso, il Tar Lazio interviene a precisare ancora una volta quali requisiti debba avere un'opera, qualificabile come nuova costrizione, affinché possa ricevere il "via libera" comunale nelle zone sottoposte a vincolo paesistico ambientale.
Troppo spesso si tende a ritenere "innocuo" un intervento che invece deve sottostare a regole ben precise; non è raro che tale sottovalutazione avvenga con riferimento alle piscine, la cui natura strettamente privata, ludica, ed ornamentale, fa passare in secondo piano la considerazione dell'impatto urbanistico che invece esse hanno, e che rende necessari il titolo edilizio, nonché il pieno rispetto della normativa vigente (vincoli compresi).

Il caso
La vicenda che fa da sfondo alla pronuncia in esame, vede quali protagonisti due privati cittadini, proprietari di un terreno ed annessi fabbricati, che chiedevano il rilascio di concessione in sanatoria per una piscina poggiata a terra (prefabbricata ed in metallo) di grandi dimensioni (circa metri sette per quattordici). L'istanza veniva tuttavia respinta con provvedimento del Comune di residenza, e le ragioni addotte dall'amministrazione erano le seguenti: l'opera ricadeva in area sottoposta a vincolo paesistico ambientale; era stata realizzata senza titolo abilitativo; trattavasi di intervento edilizio non conforme alle norme urbanistiche vigenti, nazionali e locali. Nello specifico, l'ente precisava ed evidenziava che il dato normativo esclude dalla sanatoria non solo gli abusi realizzati in aree sottoposte a vincolo di inedificabilità assoluta, ma anche a vincolo di inedificabilità relativa, e non conformi agli strumenti urbanistici comunali.Avverso il provvedimento di diniego della concessione, i privati si determinano ad adire l'autorità giudiziaria competente, e si rivolgono al Tar Lazio.

Il ricorso al Tar Lazio: disamina in diritto e decisione
È preliminarmente interessante capire quali argomentazioni difensive vengono sottoposte dai privati al vaglio dei giudici amministrativi. Anzitutto, si sostiene che la realizzazione dell'opera sarebbe stata assentibile ove fosse stata accertata la compatibilità paesaggistica, cosa che non è stata fatta dal Comune. La normativa locale inerente le zone agricole, e relativa alle nuove costruzioni e loro accessori, non sembra escludere l'opera oggetto del controvertere, soprattutto se si considera che l'ampio lotto di proprietà dei ricorrenti ospita da decenni una vasta casa padronale e numerose ampie dipendenze. Da ultimo, il provvedimento impugnato non dà minimamente conto delle ragioni giuridiche e dell'iter logico per il quale il Comune ritiene non assentibile l'opera.

Investito della vicenda, il Tar Lazio procede con la disamina degli atti e dei fatti di causa, e si sofferma fondamentalmente sul dato normativo. Ebbene, nelle aree sottoposte a vincoli posti dalle leggi statali o regionali a tutela degli interessi idrogeologici, ambientali, o paesistici, la sanatoria è possibile soltanto se ricorrono congiuntamente tre condizioni:

– che si tratti di opere realizzate prima dell'imposizione del vincolo;
– che, se pure realizzate in assenza o in difformità dal titolo edilizio, siano conformi alle prescrizioni urbanistiche;
– che siano opere minori senza aumento di superficie (restauro, risanamento conservativo, manutenzione straordinaria).

I giudici sottolineano inoltre che il rilascio del titolo abilitativo edilizio in sanatoria per opere eseguite su immobili sottoposti a vincolo, è sempre subordinato al parere favorevole delle amministrazioni preposte alla tutela del vincolo stesso. Nel caso in esame, le prescrizioni urbanistiche locali consentivano, nell'area sulla quale insistono le opere oggetto della domanda, solo interventi strettamente necessari alla conduzione agricola dei suoli, ed allo sviluppo delle imprese agricole. L'opera per cui si controverte, non solo non presenta alcuna delle condizioni suesposte (realizzata dopo il vincolo - priva di titolo edilizio - opera nuova di grandi dimensioni), quanto non appare neppure riconducibile in alcun modo nel novero degli interventi agricoli consentiti dalla locale normativa.

Basterebbe già tale disamina per escludere la fondatezza del ricorso spiegato dai privati.Ma il Tar Lazio va oltre. Difatti, la circostanza che le parti ricorrenti abbiano accennato all'esistenza di altri immobili da tempo esistenti sul terreno, lascia intendere che si sia voluto introdurre, velatamente, la possibilità di prendere in considerazione un probabile nesso di pertinenzialità tra la piscina e le altre costruzioni.Ebbene, anche su tale aspetto, il Tar ritiene di dover fare una precisazione squisitamente normativa.I giudici evidenziano come la pertinenza urbanistica sia configurabile solo quando vi sia un oggettivo nesso funzionale, strumentale, e durevole tra il bene accessorio e quello principale; sempre che l'opera secondaria non comporti alcun maggiore carico urbanistico.

Una piscina, soprattutto se di rilevanti dimensioni, non può essere considerata pertinenza urbanistica, in quanto essa ha chiaramente una funzione autonoma rispetto all'edificio principale. Sul punto, la giurisprudenza appare pacifica nell'affermare che trattasi di nuova costruzione, peraltro non suscettibile di accertamento postumo di compatibilità paesaggistica, essendo in grado di modificare irreversibilmente lo stato dei luoghi, con diversa destinazione ed uso del suolo. In conclusione, la piscina, di qualunque tipologia essa sia, si conferma quale opera edilizia per cui necessita la perfetta coesistenza di ogni requisito possibile, poiché qualificabile sempre come nuova costruzione avente un significativo impatto urbanistico.

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