Appalti

Appalti, il nuovo codice spalanca le porte all'in house

Cancellati quasi tutti i paletti del Dlgs 50/2016 sui contratti delle concessionarie. Ance: vulnus al mercato. Addio anche al registro delle società controllato dall'Anac

di Mauro Salerno

Il nuovo codice appalti rischia di allargare la zona grigia degli appalti assegnati all'ombra del mercato. Non c'è solo il tema dei lavori sottosoglia europea (5,38 milioni) che potranno continuare a essere attribuiti senza gara anche al di fuori di ogni emergenza. L'altro aspetto che il codice (Dlgs 36/2023) sacrifica, rischiando di sbilanciare il complicato equilibrio tra rincorsa del risultato, concorrenza e trasparenza, è il perimetro di controllo sulle assegnazioni in house. Qui, con un inversione a «U» rispetto al passato la parola d'ordine è avanti tutta. Con la cancellazione di quasi tutti i paletti previsti dalla riforma del 2016. La conseguenza è che una grande fetta di lavori e servizi finiranno per rientrare nella gestione propria di concessionarie, partecipate e multiutility, sparendo dal mercato.

Secondo una prima stima dei costruttori dell'Ance a essere a rischio è una quota del 36% del mercato attuale dei lavori pubblici. Si tratta della fetta di appalti assorbita dai cosiddetti «settori speciali» (acqua, elettricità, trasporti, gas) che dal primo luglio, se concessionari, non avranno alcun obbligo di assegnare le commesse con gara, anche se forti di una concessione ottenuta senza passare per un confronto competitivo. La valutazione è forse sovrastimata perché include anche gli investimenti di grandi stazioni appaltanti che di norma affidano tutto con gara (vedi Ferrovie), ma la sottrazione di contratti al mercato resta comunque considerevole, tenendo conto che tra lavori, servizi e forniture ai settori speciali sono attribuibili 46,3 miliardi di appalti con un valore medio di 1,9 milioni di euro (dati relazione Anac 2022). Nel mirino ci sono soprattutto le commesse delle grandi municipalizzate (le cosiddette multiutility) che potranno sfuggire alla vecchia regola dell'80-20 (80% degli appalti con gara, 20% in house) realizzando tutto in proprio, magari con nuove società realizzate ad hoc. E allora addio gare e trasparenza.

Tutto perché il nuovo codice, in parte per rispettare la sentenza della Corte Costituzionale n. 218/2021 che ha dichiarato illegittima la scelta di fissare una quota uguale per tutti, ha deciso di non replicare le previsioni dell'articolo 177 del Dlgs 50/2016 che stabilivano paletti precisi per le concessionarie. Vincoli che sono rimasti in parte solo per le società autostradali che, se scelti senza gara, avranno l'obbligo di esternalizzare una quota compresa tra il 50 ed il 60 per cento dei contratti oggetto delle concessioni. Una scelta che i costruttori dell'Ance, promotori di una lunga battaglia su questo tema, giudicano contraria al diritto dell'Unione europea che «impongono, in assenza di un confronto concorrenziale "a monte" di recuperare tale gap "a valle", affidando a terzi gli appalti».

C'è un secondo aspetto che evidenzia la generosa strizzata d'occhio che il nuovo codice riserva all'in house. Mentre le norme attuali impongono alle stazioni appaltanti di motivare in modo rafforzato la scelta di eseguire in proprio o affidare a partecipate appalti che sarebbero potuti andare sul mercato, il Dlgs 36/2023 alleggerisce questo vincolo in nome della «parità tra ricorso al mercato e auto-produzione». Con il nuovo assetto, si spiega nella relazione che illustra la riforma, «l'affidamento in house si intende sufficientemente motivato qualora l'amministrazione dia conto dei vantaggi in termini di economicità, celerità e perseguimento degli interessi strategici». Dunque, «viene escluso l'obbligo di dimostrare la situazione di "fallimento del mercato" e di esporre le ragioni che giustificano il ricorso all'istituto, mentre rimane la valutazione della congruità economica dell'offerta». Strada spianata agli affidamenti diretti, insomma.

Sulla stessa linea si pone la scelta di togliere all'Anac il ruolo di vigilanza su questo speciale e non proprio cristallino mercato. Dal primo luglio, l'Anticorruzione dovrà dismettere la gestione dell'albo delle società autorizzate ad assegnare e ottenere appalti in house, controllando il rispetto dei requisiti (fatturato prevalente, partecipazione pubblica e e controllo analogo). Al momento l'elenco conta 1.006 società autorizzate. Ma senza i controlli dell'Anac il numero sarebbe molto più alto. «In oltre cinque anni di gestione dell'elenco - ha segnalato l'Autorità al Parlamento contestando la scelta di sopprimere l'albo -, Anac ha potuto constatare che, in circa i due terzi dei casi trattati, i requisiti dell'in house erano carenti e i soggetti esaminati erano spesso sostanzialmente equiparabili ad imprese liberamente operanti nel mercato, che godevano di affidamenti diretti di contratti pubblici, ottenuti senza gara, in assenza dei necessari presupposti». Un modello, distorto, che ora rischia di moltiplicarsi.

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