Appalti

Codice appalti all'ok finale: norme subito in Gazzetta ma efficacia posticipata

La riforma dei contratti pubblici in Consiglio dei ministri per il via libera definitivo. Addio alle gare nel sottosoglia. Si lavora ancora a modifiche su illeciti professionali e revisione prezzi

di Mauro Salerno

Appalti e grandi opere: si cambia ancora, ma non da subito. Sono queste le prime due imformazioni da dare oggi, nel momento in cui il Consiglio dei ministri è chiamato ad approvare l'ennesima riforma dei contratti pubblici, a soli sette anni dall'ultima rivoluzione (targata Delrio-Cantone) che si voleva definitiva e addirittura inderogabile e che invece alla prova dei fatti si è rivelata un colabrodo bersagliato immediatamente dalle correzioni.

Da oggi, si prova a voltare pagina. In Consiglio dei ministri approda un nuovo codice di 229 articoli (nove in più del Dlgs 50/2016 che verrà abrogato) e 36 allegati (11 in più dei 25 del codice attuale) . La grande novità rispetto al passato è che questa volta non bisognerà aprire la litania dell'attuazione: il codice, messo a punto da una commissione ad hoc del Consiglio di Stato, viene presentato come «auto-esecutivo». Una scelta che giustifica la mole aggiuntiva di allegati, che andranno anche a sostituire (in parte incorporandole) anche 13 linee guida dell'Anac.

Periodo transitorio di fatto in aiuto di imprese e Pa
Anche se la riforma viene messa in rampa di lancio con (quasi) tutti gli strumenti per essere immediatamente operativa (incluso una sorta di "help desk" a Palazzo Chigi), il nuovo impianto non acquisterà efficacia da subito. È vero che lo schema di decreto,che sarà esaminato oggi per l'approvazione definitiva dopo il vaglio del Parlamento, prevede un'entrata in vigore immediata (il primo aprile) per rispettare le scadenze imposte dal Pnrr. Si tratta però di una disposizione meramente formale perché concretamente le nuove norme diventeranno operative soltanto più avanti. Il testo di entrata a Palazzo Chigi prevede di fatto un periodo transitorio di tre mesi, individuando nel primo luglio la data in cui norme e allegati «acquistano efficacia», ma non è detto che alla fine il governo non decida di estendere ancora di più il periodo di interregno, per permettere a stazioni appaltanti e imprese di prendere confidenza con la riforma, così come richiesto peraltro anche dal Parlamento e dall'Anac.

Altri punti di discussione annunciati in Consiglio dei ministri riguarderanno le cause di esclusione dalle gare, con la grana dei cosiddetti «illeciti professionali» che secondo le imprese lascerebbero eccessivi margini di discrezionalità alle stazioni appaltanti ( e potrebbero così forse trovare norme più rigide) e le novità sul subappalto a cascata, su cui sono arrivate diverse obiezioni dal Parlamento. Anche sulla revisione prezzi si lavorerà fino all'ultimo per provare a rendere il meccanismo più dinamico agganciandolo a indici Istat con cadenza periodica (forse semestrale). Possibili anche interventi sugli obblighi di digitalizzazione, con il traguardo fissato a gennaio 2024 che potrebbe essere spostato ancora più in avanti per le stazioni appaltanti non qualificate.

Sottosoglia: semplificazione e rischio concorrenza
Nel merito il nuovo codice punta innanzitutto ad accelerare il passaggio dalla carta ai cantieri delle opere. In particolare, questo obiettivo risulta visibile per i lavori di taglia medio-piccola, dove (fino alla soglia Ue di 5,38 milioni di euro) vengono trasformate in prassi ordinarie le deroghe varate per accelerare gli appalti ai tempo della pandemia. Al posto delle gare, diventeranno protagonisti gli affidamenti diretti (con soglia definitivamente alzata da 40mila a 150mila euro) e le procedure negoziate senza bando (fino a un milione con 5 inviti, da un milione a 5,38 con dieci inviti). Una scelta che fa storcere il naso a chi, incluse le imprese, teme un aumento della zona grigia anti-concorrenza.

Sempre in tema semplificazioni vanno citate le scelte in tema di progettazione, con la riduzione dei livelli di progettazione e il ritorno a pieno titolo dell'appalto integrato, che il vecchio codice (in realtà quasi subito sconfessato) vietava. Sono cavalli di ritorno anche l'obbligo di qualificazione delle stazioni appaltanti, sempre osteggiato dai Comuni, e il rating di impresa, dopo il fallimento dei tentativi dell'Anac di metterlo a regime nel percorso di attuazione del codice del 2016.

La sfida della digitalizzazione
Una forte spinta all'innovazione dovrebbe venire dalla svolta sulla digitalizzazione di tutti i procedimenti di gara. Anche se il mercato ha già imposto da un pezzo la strada delle gare telematiche, il progetto rimane ambizioso e non nuovo. Altri tentativi simili (chi non ricorda l'Avcpass?) sono rimasti largamente incompiuti. Lo sforzo dunque è più che apprezzabile, ma è chiaro che molto dipenderà dalla caduta degli steccati che oggi tengono separate e inaccessibili le informazioni conservate nelle varie banche dati. Questa volta a dar man forte all'obiettivo c'è qualche puntello in più. Innanzitutto l'inserimento del traguardo degli appalti digitali tra gli obiettivi da raggiungere attraverso il Pnrr. E poi la mannaia delle norme europee che prevedono l'obbligo di veicolare tutte le informazioni relative agli affidamenti attraverso soluzioni digitali a partire dal 25 ottobre 2023.

Revisione prezzi e cause di esclusione
Novità assolute sono l'obbligo di revisione dei prezzi - anche se con un meccanismo giudicato troppo farraginoso da parte delle imprese, che ancora combattono per vedersi riconoscere le compensazioni del 2022 - e l'obiettivo di estendere la qualificazione anche a servizi e forniture (ma qui, come per la qualificazione delle stazioni appaltanti, servono altri provvedimenti attuativi, in barba al principio dell'auto-esecutività della riforma).

Nel nuovo codice ci sono poi il nuovo tentativo di semplificare le norme sulle cause di esclusione dalle gare (che al momento assorbono l'80% del ricco contenzioso sugli appalti) l'ok al subappalto a cascata (richiesto dalla Ue) e l'eliminazione del tetto del 30% alla componente prezzo nella valutazione delle offerte. In tema di pareri e autorizzazioni, che più delle gare costituiscono le sabbie mobili in cui affondano la gran parte delle grandi opere italiane, viene introdotto il cosiddetto «dissenso costruttivo», già attivo nel campo delle opere Pnrr, per cui chi si oppone a un'opera deve spiegarne il motivo e proporre anche un piano B per la sua realizzazione.

Merita una menzione anche il capitolo Ppp. Sul partenariato pubblico privato il codice mostra un grande impegno di snellimento e riordino delle norme. Finora la mole degli sforzi compiuti per attrarre capitali privati nei lavori pubblici non ha dato molti frutti in Italia. È legittimo dubitare che si trattasse solo di un problema normativo. Vedremo se questa volta le cose andranno diversamente.

Ridimensionato il ruolo dell'Anac
Nel codice c'è anche il riordino, ma si dovrebbe meglio dire il netto ridimensionamento delle competenze dell'Anac. Tra le novità c'è la titolarità in via esclusiva della Banca dati nazionale dei contratti pubblici con l'Anagrafe unica delle stazioni appaltanti, compreso l'elenco dei soggetti aggregatori, nonché l'Anagrafe degli operatori economici. L'Autorità però perde innanzitutto il ruolo di regolazione del settore attraverso la "soft law" delle linee guida, mandata definitivamente in pensione e, a meno di modifiche dell'ultim'ora, anche la gestione delle elenco delle società in house, pure reclamata a gran voce dal presidente Giuseppe Busia.

Si è parlato molto anche dei principi introduttivi del codice, con l'enfasi posta sulla "fiducia" tra imprese e Pa e il "focus" sul risultato. Iniziativa lodevole, col tempo bisognerà capire se avrà anche delle ricadute concrete o si tratterà dell'ennesima norma-manifesto.

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