I temi di NT+Rassegna di giurisprudenza

Bonifiche e danno ambientale

di Elettra Monaci

Bonifica – Proprietario incolpevole – Misure di messa in sicurezza d’emergenza –Misure di precauzione e misure preventive – Differenze – Principio per cui “solo chi inquina paga” – Individuazione di altri soggetti responsabili – Requisito di tassatività della responsabilità ambientale –Predicibilità delle responsabilità dei soggetti.

Massime

1.      Le misure di messa in sicurezza d’emergenza (m.i.s.e.) non possono essere imposte al proprietario di un terreno contaminato, non responsabile della contaminazione, in coerenza ai principi affermati a livello eurounitario dalla Direttiva 2004/35/CE e dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia UE e recepiti, a livello interno, attraverso la disciplina sulla bonifica dei siti contaminati e sul danno ambientale.

2.     Lo scrutinio degli adempimenti ipoteticamente gravanti sul proprietario incolpevole deve essere condotto avendo riguardo agli obblighi normativamente previsti a carico di ciascun soggetto e non può focalizzarsi sulla portata sostanziale della misura di intervento.

3.     In ogni caso, da una ricognizione delle nozioni contenute agli artt. 240, comma 1, lett. i), l), m), n) e o) D. lgs. n. 152/2006, le m.i.s.e. non possono essere assimilate alle misure di prevenzione, considerato che solo le seconde richiedono che il danno ambientale non si sia ancora verificato, mentre nel caso delle prime il pregiudizio ambientale è già in itinere.

4.     L’art. 16 della Direttiva 2004/35/CE prevede la facoltà per gli Stati membri di mantenere e adottare disposizioni più severe in materia di prevenzione e riparazione del danno ambientale, compresa anche la possibilità di individuare altri soggetti responsabili, col limite del rispetto dei Trattati. In conformità all’art. 16 della Direttiva 2004/35/CE, le autorità amministrative non possono imporre regimi più stringenti rispetto a quelli previsti dal legislatore, obbligando il proprietario incolpevole ad adottare le misure di messa in sicurezza d’emergenza.

5.     L’assimilazione delle misure di messa in sicurezza d’emergenza alle misure di prevenzione espone ad un contrasto con i principi affermati da Corte di Giustizia UE, sez. III, 4 marzo 2015, C 534-13.

6.     L’incertezza del quadro di attribuzione degli obblighi di bonifica può costituire condizione ostativa al corretto funzionamento dell’intero sistema di tutela ambientale.

Cassazione civile, Sez. U., 1° febbraio 2023, n. 3077

Commento

Il presupposto in fatto dell’intera vicenda è quello che accomuna molti procedimenti di bonifica ove non è possibile per l’Amministrazione individuare o dimostrare la sussistenza di una correlazione causale tra l’attività svolta in situ dal soggetto proprietario (o detentore qualificato) e la contaminazione ivi riscontrata.
Nella sentenza in commento, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno ritenuto corrette le contestazioni mosse dalla società, proprietaria e gestrice dell’area contaminata, verso i provvedimenti adottati dal Ministero aventi ad oggetto l’obbligo di adozione delle misure di messa in sicurezza d’emergenza, in difetto dell’individuazione del responsabile della contaminazione.
Col contributo pubblicato il 15 settembre 2022 [EM1] , si era già evidenziato come la giurisprudenza amministrativa successiva alla sentenza della Corte di Giustizia UE, sez. III, 4 marzo 2015, C 534-13 si sia caratterizzata per l’emersione di un contrasto giurisprudenziale fra due diversi orientamenti nel caso in cui al proprietario incolpevole vengano imposte le cd. «misure di messa in sicurezza d’emergenza». Secondo un orientamento, in conformità al principio “chi inquina paga”, gli obblighi di messa in sicurezza (anche d’emergenza), bonifica e ripristino ambientale possono gravare unicamente sul responsabile della contaminazione. Secondo un altro orientamento, invece, le misure di m.i.s.e. possono dirsi simili alle misure di prevenzione, rispondendo alla medesima esigenza di prevenire che si verifichi un danno ambientale.
A fini esplicativi, la pronuncia può essere suddivisa in due parti principali: nella prima la Corte di Cassazione offre una ricostruzione dell’evoluzione normativa e giurisprudenziale del criterio di imputazione della responsabilità di ampio respiro (§§ 1-25), per poi analizzare nel dettaglio la vexata quaestio restituendo centralità ai principi e alla portata letterale delle disposizioni che compongono la normativa europea e interna di recepimento (§§ 26 – 39). In tale sede, la Suprema Corte evidenzia come lo scrutinio degli adempimenti gravanti sul proprietario non responsabile della contaminazione non debba vertere sull’assimilabilità o meno dell’intervento, da un punto di vista sostanziale, a quello avente carattere preventivo. A parere della Corte, la conseguenza di «una riqualificazione oggettiva nei termini della sola funzionalità di una qualunque misura» sarebbe quella di mutare il criterio di imputazione della responsabilità e traghettare il sistema, nella disciplina italiana, verso «una nozione così lata di responsabilità incolpevole e di posizione da svuotare il margine identitario del più sicuro raccordo tra azione contaminante e riparazione sulla base del principio per cui “solo chi inquina paga”» (cfr. § 26 della sentenza in commento).
Ad avviso della Corte, in ogni caso, anche in tale prospettiva di comparazione della funzionalità strumentale delle misure, l’assimilazione delle m.i.s.e. alla più ampia categoria della prevenzione non sarebbe possibile essendovi alcune differenze concettuali (al § 30 la Corte li individua quali «elementi tipizzanti e distintivi») enucleabili a partire dalle disposizioni.
Solo le misure di prevenzione implicherebbero, infatti, un danno ancora non presente, stante i numerosi richiami ai concetti di “imminenza” e “probabilità” in relazione alla “minaccia” o al “rischio” di danno ambientale (si v., in particolare, l’art. 240, comma 1, lett. i e l’art. 302, comma 8, D. lgs. n. 152/2006). Nel caso, invece, delle m.i.s.e. si vuole contenere il pregiudizio ambientale che è ormai in itinere e in ciò si sostanzia il carattere emergenziale delle misure richieste all’operatore e, al contempo, la capacità di tali misure di avere una piena portata bonificatrice (si v. l’art. 240, comma 1, lett. m), D. lgs. n. 152/2006).
La Corte passa quindi a ricordare come, coerentemente con tali premesse, parte della giurisprudenza amministrativa abbia escluso di dover attribuire la responsabilità per misure diverse dalla semplice prevenzione al proprietario, qualora la contaminazione non sia ascrivibile alla sua sfera di attribuzione, ma al contempo mette in luce il percorso di consolidamento di un diverso orientamento, successivo alla sentenza della Corte di Giustizia UE, sez. III, 4 marzo 2015, C 534-13.
Proprio per tale ragione, il Collegio ritiene opportuno ribadire le affermazioni della sovra-menzionata sentenza e darne applicazione nella risoluzione della questione sottoposta al suo esame: a) il presupposto essenziale, proprio del regime di responsabilità descritto dalla Direttiva, è l’individuazione di un operatore qualificabile come responsabile; b) tale soggetto dovrebbe prendere l’iniziativa e adottare le misure di riparazione adeguate alla situazione, ma qualora non lo faccia, l’autorità competente può ordinargliene l’adozione; c) in ogni caso, il perno della responsabilità per danno all’ambiente è la sussistenza del nesso causale con l’attività svolta dall’operatore, a prescindere dal regime di responsabilità – soggettiva o oggettiva – che trova applicazione; d) qualora gli Stati vogliano individuare altri soggetti responsabili possono farlo sulla base dell’art. 16 Direttiva che, conformemente all’art. 193 TFUE, prevede la possibilità per i legislatori nazionali di adottare disposizioni più stringenti tese ad una maggiore protezione ambientale.
Di conseguenza, chiarisce la Sezione, le amministrazioni non possono andare oltre le previsioni legislative, imponendo regimi più stringenti, come nel caso dell’attribuzione dell’obbligo di adozione delle misure di messa in sicurezza a carico del proprietario non responsabile della contaminazione. L’interpretazione, che rispetta i limiti del dettato normativo rende possibile la soddisfazione del requisito di tassatività della responsabilità ambientale e deve guidare, secondo il Collegio, anche l’interpretazione delle norme positive che potrebbero agevolare l’interprete a preferire diverse regole attrattive (e, sul punto, la Corte richiama gli artt. 3 ter e 301 D. lgs. n. 152/2006).
A tale ultimo proposito, la Suprema Corte offre una notazione a conclusione della pronuncia. Le interpretazioni delle autorità competenti, che tendono a ridefinire il quadro delle responsabilità, potrebbero generare situazioni di incertezza che impediscono il corretto funzionamento circolare del sistema delle tutele ambientali. Ricorda il Collegio che il legislatore ha previsto anche la fattispecie dell’omessa bonifica, sanzionandola penalmente ai sensi dell’art. 452 terdecies c.p.. La pronuncia si traduce, quindi, in un monito rivolto alle pubbliche amministrazioni: la predicibilità del provvedimento amministrativo si riverbera sulla predicibilità della decisione presa dall’autorità giudiziaria e, pertanto, sulla capacità dell’ordinamento di garantire l’applicazione della medesima regola in casi uguali.

 

Riferimenti giurisprudenziali

Cons. Stato, sez. IV, 12 luglio 2022, n. 5863;

Cons. Stato, sez. IV, 2 maggio 2022, n. 3426;

Cons. Stato, sez. V, 7 marzo 2022, n. 1630;

Cons. Stato, sez. IV, 26 febbraio 2021, 1658;

Cons. Stato, sez. IV, 18 dicembre 2018, n. 7121;

Cons. Stato, sez. V, 7 marzo 2022, n. 1630;

Cons. Stato, sez. V, 30 dicembre 2019, n. 8912;

Cons. Stato, sez. V, 1 ottobre 2018, n. 5604;

Cons. Stato, sez. VI, 4 agosto 2021, 5742;

Cons. Stato, sez. VI, 3 gennaio 2019, n. 81;

Cons, Stato, sez. VI, 28 dicembre 2017, n. 6138;

Cons. Stato, sez. VI, 7 novembre 2016, n. 4647;