Urbanistica

Edilizia privata, l'intervento non visibile dalla «popolazione» non fa parte del paesaggio

E quindi, dice Palazzo Spada, è illegittimo il diniego del titolo edilizio per il parere negativo della commissione paesaggistica

di Massimo Frontera

È illegittimo il «provvedimento di diniego (del titolo edilizio, ndr), in quanto basato esclusivamente sulla valutazione ostativa della Commissione del Paesaggio espressasi, in base ad una non condivisibile concezione di "paesaggio", su un elemento architettonico (la conformazione della falda del tetto) estraneo al paesaggio perché prospiciente solo il cortile interno e dunque non percepibile se non da chi abbia titolo particolare all'ingresso nel cortile». Con questa motivazione il Consiglio di Stato (Sezione Quarta - pronuncia n.624/2022) ha ribaltato la precedente sentenza del Tar Lombardia, consentendo un intervento di recupero del sottotetto con modIfica delle falde. Intervento però - occorre aggiungere - visibile esclusivamente dalla corte interna dello stabile. L'edificio in questione - a corte e realizzato ai primi del 900 ma non gravato da alcun vincolo («neanche di carattere paesaggistico, né quale bene individuale né quale bellezza di insieme») - si trova a Milano in un'area Tuc (tessuto urbano consolidato in base al piano regolatore milanese). Il progetto di recupero del sottotetto, promosso dal proprietario, prevedeva il mantenimento della quota di colmo e riguardava esclusivamente le falde che si affacciano sul lato cortile, sviluppando una «modesta pendenza delle falde». L'intervento, pertanto, è percepibile solo da chi si trova nel cortile, dopo essere entrato nel palazzo.

Il contenzioso nasce dall'impugnazione al Tar Lombardia del diniego del permesso di costruire fondato sui pareri negativi della commissione paesaggio. Commissione paesaggio che, come indica la legge urbanistica della Lombardia, prevede il parere preventivo sull'esame dell'impatto paesistico dei progetti di recupero dei sottotetti che incidono sull'aspetto esteriore dei luoghi e degli edifici. Secondo la Commissione, l'intervento avrebbe «un impatto negativo sulla sobria qualità architettonica dell'impianto architettonico unitario e ciò in quanto il progetto non interesserebbe l'intero complesso ma solo parte di esso» (nel caso specifico il progetto iniziale riguardava infatti solo uno dei due corpi di fabbrica costituenti il fabbricato).

Il Tar Lombardia ha respinto il ricorso perché ha ritenuto che la Commissione abbia «correttamente applicato una nozione ampia di paesaggio, in linea con la Convenzione europea del paesaggio del 2000» (ratificata con la legge n.14/2006). L'intervento, secondo i giudici del Tar, «finirebbe per alterare la linea architettonica unitaria degli immobili finitimi (in cui assume rilevanza la corte interna, in quanto risorsa identitaria), considerato che, secondo la Commissione, ai fini del paesaggio rilevano sia gli spazi privati che la visione dall'alto». I giudici del Tar Lombardia hanno pertanto respinto il ricorso.

I giudici della Quarta sezione del Consiglio di Stato arrivano a una ben diversa conclusione. Preliminarmente, si osserva che il primo giudice non ha correttamente tenuto in considerazione «il nucleo essenziale di carattere estetico, in senso gnoseologico, del "paesaggio", al quale è inevitabilmente attribuibile un carattere soggettivo (e non oggettivo), dal quale discende l'importanza da attribuire alla fruibilità da parte della popolazione». Altra cosa, invece, è il concetto di ambiente. «Resta netta - sottolineano i giudici - la distinzione tra paesaggio e ambiente, implicando - il primo - la percezione (per lo più qualitativa) e l'interpretazione da un punto di vista soggettivo e - il secondo - prevalentemente l'apprezzamento delle quantità fisico-chimiche e dei loro effetti biologici sull'ecosistema da un punto di vista oggettivo». Il Tar avrebbe poi errato nel non individuare correttamente il confine tra interesse pubblico e gli interessi privati «in primis quelli relativi al diritto di proprietà che viene inevitabilmente limitato dalle prescrizioni di tutela dei beni paesaggistici, il che è costituzionalmente legittimo nei limiti di cui al noto articolo 42 della Costituzione».

Questi errori, secondo il Consiglio di Stato, dipendono dal non aver considerato la circostanza («che assume pertanto rilievo dirimente») che l'intervento riguarda «una porzione del manufatto non fruibile dalla collettività in quanto prospettante su una corte interna», alla quale accede solo chi abita lì o chi vi si reca per qualche motivo. Sul punto, il primo giudice ha condiviso l'assunto del Comune e della commissione paesaggistica secondo la quale tale ristretta collettività farebbe comunque «parte della "popolazione" che costituisce il riferimento per la fruizione del paesaggio». Ripercorrendo le norme regionali e comunali alla luce di una diversa applicazione dei principi sulla tutela del paesaggio per come sono stati recepiti dal legislatore italiano, i giudici di Palazzo Spada, affermano pertanto che «la conclusione adottata dall'Amministrazione (e seguita dal primo giudice) tradirebbe il necessario bilanciamento tra la libera esplicazione del diritto di proprietà, di cui è espressione lo jus aedificandi, e il (preteso) interesse pubblico alla salvaguardia di un valore paesaggistico, che - ove pure in ipotesi sussistente sul piano estetico - finisce per essere recessivo ove afferente a un bene non fruibile dalla generalità indifferenziata dei consociati». E «per tale motivo, finisce per essere irragionevolmente restrittivo e non giustificato dal richiamo a una nozione di paesaggio rettamente intesa».

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