Personale

Whistleblowing, nessuna protezione al dipendente che denuncia i colleghi per lo stesso illecito di cui è accusato

Per la Cassazione questo non lo esime da sanzioni disciplinari anche gravi

di Pietro Alessio Palumbo

Denunciare i colleghi per aver compiuto gli stessi illeciti di cui è accusato non esime il dipendente pubblico da sanzioni disciplinari anche gravi: in altre parole secondo la Corte di cassazione (sentenza n. 9148/2023) fare la spia non assicura le tutele previste dalla legge se il dipendente è stato lui stesso trovato con le mani nel sacco.

La normativa di tutela del dipendente pubblico che segnala illeciti altrui (whistleblowing) salvaguarda lo stesso dalle sanzioni che potrebbero conseguire da norme disciplinari o da reazioni ritorsive dirette ed indirette conseguenti alla sua denuncia, ma non istituisce un esimente per gli illeciti che egli, da solo o in concorso con altri, abbia commesso; potendosi al più valutare il ravvedimento operoso o la collaborazione al fine di consentire gli opportuni accertamenti nel contesto dell'apprezzamento della proporzionalità della sanzione.

Nella vicenda la dipendente si era resa responsabile dello svolgimento senza autorizzazione di attività lavorative all'esterno dell'organizzazione datoriale. Ed aveva sporto denuncia presso il medesimo datore di lavoro, rispetto ad analoghe condotte di altri colleghi. A tale ultimo riguardo invocava la protezione assicurata dalla normativa sul whistleblowing, funzionale all'emersione dei fenomeni di corruzione e di mala gestio.

Secondo la Suprema Corte l'applicazione al dipendente di una sanzione per comportamenti illeciti suoi propri resta al di fuori della copertura fornita dalla normativa sul whisleblowing, che infatti non esime da responsabilità chi commetta un illecito disciplinare per il solo fatto di denunciare la commissione del medesimo fatto o di fatti analoghi ad opera di altri dipendenti. Ciò è desumibile non solo dalla disciplina nazionale, ma anche dalle fonti internazionali che stanno alla base dell'istituto. Già la Convenzione dell'Organizzazione delle Nazioni Unite contro la corruzione del 2003 prevede che gli Stati adottino misure appropriate per proteggere chi segnali illeciti, da qualsiasi trattamento ingiustificato; tale evidentemente non potendo essere - e non meritando pertanto protezione - la commissione da parte propria, da soli o in concorso, di autonomi illeciti che nulla hanno a che vedere con tali segnalazioni. In particolare la Direttiva (UE) 2019-1937, definisce la protezione cui gli Stati membri devono indirizzare i loro interventi nel senso del divieto di qualsiasi forma di ritorsione; essa è dunque finalizzata ad impedire conseguenze sfavorevoli per il fatto in sé di avere segnalato illeciti, ma certamente non costruisce esimenti rispetto agli illeciti che la medesima persona abbia autonomamente e altrimenti commesso. Evidentemente nulla vieta all'ordinamento di riconoscere eventuali attenuanti oppure, quando possibile, di valorizzare il pentimento sotto il profilo della valutazione di proporzionalità, come è normale che sia per il ravvedimento che ciò può dimostrare, ma lo Stato non può, né è tenuto a riconoscere, un'esimente rispetto ad illeciti.

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