Fisco e contabilità

Processo sui derivati, assolti ex ministri ed ex vertici del Mef

La Corte dei conti: sui contratti non colpevoli Siniscalco, Grilli, Cannata e La Via

di Gianni Trovati

Tutti assolti. La Corte dei conti del Lazio scrive una nuova puntata nella lunga battaglia fra la Procura contabile e gli ex vertici del ministero dell’Economia sulla gestione dei sei derivati con Morgan Stanley chiusi anticipatamente fra la fine del 2011 e l’inizio del 2012. Puntata che potrebbe non essere l’ultima se la Procura deciderà di ricorrere in appello.

I giudici di primo grado hanno escluso responsabilità contabili per gli ex ministri dell’Economia Vittorio Grilli e Domenico Siniscalco, difesi rispettivamente dagli avvocati Torchia e D’Urso, per l’ex direttore generale del Tesoro Vincenzo La Via (difeso dall’avvocato Ghia) e per l’ex dg del Debito pubblico Maria Cannata, assistita dai legali Iannaccone, Palmieri e Lugaro. A loro la Procura contestava un danno erariale da oltre 1,1 miliardi, che diventavano 3,9 con i quasi 2,8 miliardi a carico di Morgan Stanley già uscita dal procedimento nel primo round di sentenze. Una cifra record per i processi contabili, che sarebbe stata prodotta con la decisione di chiudere in anticipo i sei contratti con la banca d’affari, blindati da una clausola di early termination che aveva imposto al Tesoro di staccare un assegno da 3,1 miliardi: di qui la base del danno, completato con la spesa per gli interessi dei titoli di Stato emessi per finanziare il pagamento.

La vicenda, si diceva, era già stata al centro di un primo giro di sentenze, concluso nel 2019 con l’indicazione di un difetto di giurisdizione dettato però da considerazioni di merito, che in pratica facevano rientrare le decisioni del Mef nell’ambito dell’insindacabilità delle scelte dirigenziali. In pratica, i giudici contabili (sia in primo grado sia in appello) avevano respinto l’idea che i piani alti del ministero dell’Economia avessero colpevolmente lasciato che Morgan Stanley tenesse nelle proprie mani le leve gestionali dei derivati di Stato grazie a clausole contrattuali tutte girate a proprio favore. Perché le «professionalità di altissimo rilievo nazionale e internazionale» che lo popolano, si legge nella sentenza d’appello del 2019, ne fanno una «controparte qualificata» che sottopone a «procedure assai complesse» e ad «analisi rigorose» i rapporti con Morgan Stanley come con le altre banche inserite nell’elenco degli «specialisti».

A riaprire il dossier è stata però la Cassazione, che investita dalla Procura generale della Corte dei conti ne ha escluso la giurisdizione su Morgan Stanley ma l’ha confermata sui vertici del Mef, rimandando la palla alla magistratura contabile per una decisione anche formalmente nel merito. Come quella arrivata ieri con l’assoluzione di tutti gli imputati.

A motivarla c’è prima di tutto il contesto in cui si è sviluppata la vicenda, tormentato dalla crisi del debito sovrano che nel 2011 ha sconvolto le curve dei tassi. Nasce da lì la scelta dell’uscita anticipata che, come ha sostenuto un mese fa l’attuale dg del Tesoro Alessandro Rivera, in audizione alla bicamerale sulle banche, avrebbe in realtà evitato guai ben peggiori come mostrato dall’evoluzione successiva del quadro dei rendimenti. Tesi sostenuta anche dalle difese, che hanno parlato di risparmi per circa 3 miliardi, e accolta dai giudici contabili.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©