Enti di diritto privato, no all'accesso per ottenere informazioni sull'impiego di risorse di provenienza pubblica
É il caso di una Camera di commercio, azionista di minoranza di una società fieristica
Una Camera di commercio, azionista di minoranza di una società fieristica, ha presentato un'istanza di accesso per l'ostensione di vari documenti sociali e contabili della società stessa, non solo in vista dell'interesse alla dismissione della propria quota di partecipazione, ma anche per ottenere informazioni sulla gestione di risorse di provenienza pubblica. A fronte del rigetto dell'istanza, il Tar Friuli Venezia Giulia adito dalla Camera di commercio ha respinto il ricorso, ritenendo che nel caso di specie non vi fossero i presupposti per l'accesso agli atti.
In sede di appello, il Consiglio di Stato, Sezione V, (sentenza n. 2543/2023) ha confermato la legittimità del diniego opposto dall'ente fieristico, sulla base di argomentazioni tratte da un'interpretazione restrittiva delle vigenti norme di legge in materia. A questo riguardo, il disposto di riferimento è l'articolo 22, comma 1, lettera e), della legge 241/1990, ai sensi del quale le disposizioni in materia di accesso agli atti si applicano ai «soggetti di diritto privato limitatamente alla loro attività di pubblico interesse disciplinata dal diritto nazionale o comunitario».
La tesi dell'appellante
Dinanzi alla Sezione V la Camera di commercio ha lamentato l'erronea applicazione del disposto da parte del Tar, posto che detto giudice ha ritenuto che la documentazione richiesta fosse estranea all'attività di pubblico interesse esercitata dall'ente fieristico, senza però darne compiuta ragione. Ad avviso della parte appellante, la mera circostanza che la documentazione fosse esplicazione di un'attività privatistica non sarebbe stata sufficiente a escludere l'applicabilità dell'accesso documentale, stante l'asserita sussistenza di un preciso nesso strumentale tra la documentazione richiesta, lo scopo statutario e l'attività esercitata dalla società in questione. Oltretutto, l'istanza di accesso era anche volta a verificare le modalità di organizzazione, gestione ed esercizio di un'attività statutariamente finalizzata al perseguimento e alla soddisfazione d'un interesse pubblico, peraltro suscettibile di incidere sulla solidità finanziaria e patrimoniale della società partecipata e sulla quota dei soci pubblici, a prescindere dal fatto che venivano in rilievo atti di natura privatistica. In definitiva, nel caso di specie era in gioco il presunto diritto di accertare la correttezza della gestione di risorse di provenienza pubblica.
L'attività di pubblico interesse
Palazzo Spada non ha condiviso queste doglianze e ha ritenuto che la documentazione richiesta esuli dall'attività d'interesse pubblico svolta dalla società fieristica, riconducibile – secondo quanto previsto dall'oggetto sociale – alla «organizzazione, la coordinazione e la gestione dei sistemi fieristici, espositivi, congressuali» nonché dei servizi complementari e connessi, con la prospettiva di «incentivare le economie locali e valorizzare i relativi sistemi produttivi nel quadro regionale e nazionale».
Secondo il collegio l'istanza non può nemmeno inquadrarsi, per le medesime ragioni appena esposte, nella nozione di accesso civico generalizzato. Infatti, è vero che ai sensi dell'articolo 2-bis, comma 3, del Dlgs 33/2013 2013 le società a partecipazione pubblica soggiacciono, in quanto compatibile, al regime dell'accesso civico generalizzato, ma soltanto e limitatamente «ai dati e ai documenti inerenti all'attività di pubblico interesse disciplinata dal diritto nazionale o dell'Unione europea».
Petizioni pubbliche, ok alle istanze di accesso al contenuto ma con i sottoscrittori bannati
di Pietro Alessio Palumbo