Fisco e contabilità

A Napoli il 40% del nuovo fondo anti-default

Oggi l’intesa con il governo sul nuovo fondo creato dal decreto Sostegni-bis

di Patrizia Ruffini e Gianni Trovati

Napoli da sola assorbirà quasi il 40% dei 660 milioni messi a disposizione dalla legge di conversione del decreto sostegni-bis per evitare il dissesto di oltre 800 Comuni. Al capoluogo campano la norma destina un assegno da oltre 240 milioni, che stacca decisamente la seconda classificata, Torino, a cui saranno accreditati circa 110 milioni. Ma da Lecce a Reggio Calabria, da Catanzaro a Frosinone, la lista dei beneficiari conta oltre 300 Comuni.

Il decreto del ministero dell’Interno che distribuisce il nuovo fondo emergenziale ha bruciato le tappe dell’attuazione, ed è pronto ad arrivare oggi in conferenza Stato-Città, tre giorni dopo l’arrivo in Gazzetta Ufficiale della legge di conversione al secondo decreto Sostegni del governo Draghi. I tempi, del resto, sono strettissimi: perché gli enti locali investiti dalla sentenza 80/2021 con cui la Corte costituzionale ha bocciato la possibilità di ripianare in 30 anni il deficit extra generato dalle anticipazioni sblocca-pagamenti hanno sì ottenuto i tempi supplementari per chiudere i loro rendiconti 2020 e i preventivi del 2021-23. Ma i tempi supplementari si chiudono sabato prossimo, 31 luglio. E nonostante la decisa accelerazione impressa da Viminale e ministero dell’Economia, è probabile che molti sforarno i tempi contando su una certa flessibilità delle Prefetture vista la situazione eccezionale (e l’agosto alle porte).

In ogni caso, le cifre che saranno allegate al decreto oggi sui tavoli della conferenza riproporzionano quelle anticipate in base al decreto originario (NT+ Enti locali & edilizia del 3 giugno) alla luce dell’aumento del 30% (660 milioni invece dei 500 previsti all’inizio) ottenuto in Parlamento. Tutto, si diceva, nasce da una complicata questione contabile, che però ha rischiato di far esplodere centinaia di dissesti comunali proprio alla vigilia delle elezioni che in autunno riguarderanno oltre mille Comuni. Fra cui, appunto, Napoli e Torino, oltre a Roma e Milano che però non sono interessati dal problema.

Le obiezioni dei giudici costituzionali hanno cancellato una norma, a sua volta nata dopo una prima bocciatura della Consulta, che permetteva di coprire in 30 anni i deficit extra generati dai prestiti statali che fra 2013 e 2015 sono stati riconosciuti dallo Stato per pagare la montagna di fatture arretrate ai fornitori.

L’illegittimità di quella norma, utilizzata dagli oltre 1.400 enti che in passato avevano ricevuto le anticipazioni di liquidità sblocca-pagamenti, avrebbe ricondotto l’obbligo di copertura entro i tempi ordinari: e cioè, dicono le leggi di contabilità, tre anni, e comunque entro la fine del mandato amministrativo. Con un’ovvia moltiplicazione, per dieci o più volte a seconda dei casi, della rata annuale. Senza contare, appunto, che il mandato in tanti Comuni è già arrivato al termine, e sopravvive in proroga in attesa del voto rinviato nei mesi scorsi a causa del Covid.

Il Parlamento, oltre a mettere a disposizione di questi Comuni un paracadute da 660 milioni, ha scritto una nuova regola che permette di finanziare questo extra-deficit in 10 anni. Non sono i 30 anni della vecchia norma, certo. Ma offrono un orizzonte gestibile, tanto più con l’aiuto del nuovo fondo. I fondi vanno agli oltre 300 enti colpiti più duramente, l’allungamento del calendario serve agli altri 1.100.

Il rischio default, che nel 91% dei casi riguarda Comuni del Mezzogiorno, appare insomma scongiurato. Con un’unica eccezione: che, paradossalmente ma non troppo, è rappresentata proprio da Napoli, il Comune che di gran lunga è il maggiore beneficiario del nuovo fondo anti-crisi locali. Il fatto è che la grana costituzionale è solo l’ultimo in termini cronologici della ricca serie di problemi che schiacciano i conti partenopei, fin qui rimasti lontani dagli obiettivi intermedi del piano anti-dissesto avviato nel 2012, il primo anno dell’era De Magistris che ora si conclude. Proprio per questo la Corte dei conti aveva deciso di imporre il default, stoppato fino al 30 giugno scorso da una norma infilata nel decreto semplificazioni del governo Conte-2. Ora la partita di riapre: e c’è da capire se i nuovi fondi spingeranno i magistrati contabili a ripensare la loro decisione.

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