Anac, legittimo impugnare le delibere con prescrizioni (lesive) per le stazioni appaltanti
Il Consiglio di Stato sul caso dell'appalto per la Milano-Expo: necessario anche rispettare i tempi previsti per gli atti di vigilanza
Le delibere dell'Anac emanate nell'esercizio del potere di vigilanza e controllo, qualora contengano indicazioni di carattere prescrittivo che impongano ai destinatari e in particolare all'ente committente di conformarvisi, costituiscono provvedimenti aventi carattere immediatamente lesivo, come tali autonomamente impugnabili.
Inoltre, il procedimento di vigilanza deve concludersi entro il termine indicato nel regolamento emanato dalla stessa Anac, che deve considerarsi di natura perentoria. Infatti, solo il rigoroso rispetto di tale termine rende concreto ed effettivo il potere di vigilanza, il cui esercizio rischia altrimenti di essere privo di ogni efficacia pratica.
Si è espresso in questi termini il Consiglio di Stato, Sez. V, 22 dicembre 2022, n. 11200, con una pronuncia per alcuni aspetti innovativa, che peraltro interviene in un momento particolarmente significativo inserendosi – con alcuni spunti di notevole interesse - nel dibattito in corso sulla ridefinizione dei poteri dell'Anac nell'ambito della imminente riforma prevista dal nuovo Codice dei contratti pubblici.
Il fatto
Il Comune di Milano aveva indetto una procedura aperta per l'affidamento dei lavori di realizzazione di un lotto funzionale della strada di collegamento Milano – Expo. Nel corso dell'esecuzione dell'appalto era sorta la necessità di provvedere ad alcune varianti in corso d'opera; di conseguenza la stazione appaltante trasmetteva la relativa relazione all'Anac, secondo quanto previsto dalla normativa vigente. L'Anac, nell'esercizio dei suoi poteri di vigilanza, concludeva il relativo procedimento con una apposita delibera rilevando gravi disfunzioni e irregolarità nell'esecuzione dell'appalto in relazione a una molteplicità di aspetti, attinenti alla progettazione, alla contabilizzazione ed esecuzione dei lavori in variante, all'individuazione del soggetto aggiudicatario, alla sostituzione di un componente del raggruppamento aggiudicatario, all'ipotesi di accordo transattivo e al provvedimento di risoluzione contrattuale. Con la medesima delibera l'Anac invitava l'ente committente a comunicare le misure che intendeva adottare alla luce dei rilievi evidenziati e disponeva altresì la trasmissione degli atti alla Procura della Repubblica e alla Procura regionale della Corte dei Conti. Il Comune di Milano – unitamente al soggetto aggiudicatario – impugnava la delibera presso il giudice amministrativo, rilevando una serie articolata di carenze istruttorie che avrebbero determinato l'illegittimità della stessa.
La decisione del Tar Lombardia
Il Tar Lombardia respingeva i ricorsi. Riteneva infatti che la delibera oggetto di impugnazione costituiva espressione delle funzioni di vigilanza e controllo aventi sostanzialmente una valenza consultiva e propositiva. In quanto tale la delibera non rappresentava una manifestazione di volontà idonea a incidere nella sfera giuridica dei destinatari, ma si poneva esclusivamente in termini di giudizio valutativo, accompagnato da un invito rivolto all'ente appaltante ad adottare in autonomia i conseguenti provvedimenti nell'esercizio dei poteri di autotutela.In questa prospettiva, la circostanza che l'Anac avesse trasmesso la delibera alle competenti autorità (Procura della Repubblica e Corte dei Conti) per le valutazioni di rispettiva competenza costituiva unicamente uno strumento volto a dare effettività all'esercizio del potere di vigilanza, ma non determinava alcuna conseguenza giuridica apprezzabile nei confronti dei soggetti vigilati.
In sostanza, secondo il giudice amministrativo di primo grado, la delibera dell'Anac era priva di contenuti precettivi nei confronti dei soggetti destinatari, e non determinava quindi alcun effetto immediatamente lesivo nella sfera giuridica degli stessi. Era quindi in qualche modo assimilabile ai pareri non vincolanti rilasciati dall'Autorità, che possono tuttalpiù servire da stimolo ai fini dell'adozione da parte dell'ente committente di eventuali provvedimenti da assumere in autonomia, ma senza creare alcun tipo di obbligo o vincolo giuridico. La sentenza del Tar Lombardia veniva impugnata dagli originari ricorrenti davanti al Consiglio di Stato.
La decisione del Consiglio di Stato
Il Consiglio di Stato ha riformato la sentenza di primo grado.La questione centrale affrontata riguarda la valutazione in merito all'ammissibilità dell'impugnazione della delibera dell'Anac, emanata nell'esercizio dell'attività di vigilanza e controllo ad essa attribuita dall'articolo 213 del D.lgs.50/2016. Ricorda il giudice d'appello che tale articolo conferisce all'Anac il potere di vigilare sui contratti pubblici affinchè sia garantita l'economicità dell'esecuzione degli stessi e sia accertato che da tale esecuzione non derivi un pregiudizio per il pubblico erario.Ciò premesso, il Consiglio di Stato evidenzia che l'impugnabilità di una delibera emanata dall'Anac – ancorché di natura non vincolante – nell'esercizio di tale potere non è da escludersi in termini assoluti, essendo ben possibile che in relazione ai suoi contenuti rapportati allo specifico caso essa incida nella sfera giuridica dei destinatari, con un effetto immediatamente lesivo.
In sostanza, la lesività del provvedimento – e quindi la sua impugnabilità immediata - non va valutata in astratto e in relazione all'inquadramento concettuale dello stesso, bensì in concreto tenendo conto dei vincoli conformativi che produce nei confronti dei destinatari. È in questo contesto che va inquadrato l'indirizzo giurisprudenziale secondo cui l'impugnabilità di un parere non vincolante dell'Anac – cui può essere assimilata la delibera emanata nel caso di specie – può essere ammessa nell'ipotesi in cui l'ente appaltante abbia fatto proprio il contenuto del parere stesso. In sostanza, l'impugnazione dell'atto dell'Anac sarebbe consentita solo unitamente al provvedimento dell'ente appaltante che ne abbia fatto applicazione, perché solo a seguito dell'adozione di tale provvedimento si manifesterebbe la sua incidenza lesiva sulla posizione dei destinatari.
Questo indirizzo giurisprudenziale, nei suoi criteri di base, non viene smentito dal Consiglio di Stato. Esso va infatti riportato al principio generale secondo cui l'impugnabilità di un provvedimento amministrativo va valutata tenendo conto in concreto dell'effetto che produce nella sfera giuridica dei destinatari, nel senso di causare una effettiva lesione alle posizioni di questi ultimi. Proprio in applicazione di tale principio il giudice amministrativo si è espresso in passato nel senso di ritenere autonomamente impugnabili le Line guida emanate dall'Anac, tenuto conto degli effetti conformativi che le stesse producono in concreto rispetto ai successivi provvedimenti adottati dagli enti appaltanti.
In sostanza, la conclusione che secondo il Consiglio di Stato va accolta – anche sulla base degli orientamenti giurisprudenziali maturati in precedenza – è che la questione dell'impugnabilità in via autonoma e immediata degli atti dell'Anac va affrontata e risolta a prescindere dall'inquadramento dogmatico di tali atti (se si tratti cioè di pareri piuttosto che di linee guida o di delibere). Ciò che rileva non è la categoria concettuale cui gli atti appartengono quanto piuttosto l'effetto conformativo che essi producono, nel senso di precostituire un vincolo cui i destinatari – e prima di tutto gli enti appaltanti – sono tenuti a uniformarsi nell'adozione dei successivi provvedimenti di loro competenza. Quando questo effetto conformativo sussiste, l'atto dell'Anac assume un effetto lesivo immediato nella sfera dei destinatari, e come tale può essere oggetto di autonoma impugnativa.
Applicando questi principi al caso di specie, ne deriva che la delibera emanata dall'Anac nell'esercizio dei propri poteri di vigilanza e controllo ai sensi dell'articolo 213 del D.lgs. 50 – a prescindere dall'inquadramento concettale che si ritenga di dargli – produce un chiaro obbligo conformativo, posto che pone l'ente appaltante nella condizione di doversi adeguare ai rilievi formulati, pena la sottoposizione a conseguenze ancora più negative, come adombrato dalla trasmissione degli atti alla Procura della Repubblica e alla Corte dei Conti.
In sostanza, nel momento in cui l'Anac, a seguito di una serie significativa di rilievi, ha invitato l'ente appaltante a rendere note le misure che intendeva adottare, ha in qualche modo vincolato l'attività dello stesso ente appaltante, producendo appunto quell'obbligo conformativo idoneo a incidere direttamente nella sfera giuridica del medesimo ente appaltante.
Da qui la conclusione: una delibera dell'Anac emanata nell'esercizio dei poteri di vigilanza e controllo che abbia i contenuti descritti può essere oggetto di immediata impugnazione, in relazione agli effetti immediatamente lesivi che produce.
Il termine di conclusione del procedimento
Tra i motivi di appello era stato eccepita anche l'emanazione della delibera ben oltre il termine per la conclusione del procedimento indicato nello stesso regolamento Anac. A tale censura l'Autorità aveva replicato che tale termine doveva considerarsi meramente ordinario, cosicchè il suo superamento non poteva comportare l'illegittimità dell'atto adottato. Il Consiglio di Stato ha bocciato la tesi dell'Anac, rilevando come la stessa conteneva in sé una insanabile contraddizione. Infatti la conclusione tardiva del procedimento, intervenuta quando l'esecuzione dell'appalto era sostanzialmente conclusa, rendeva impossibile l'adozione di quelle misure correttive che la stessa Autorità sollecitava. Sicchè veniva meno la finalità ultima della funzione di vigilanza e controllo, e l'unico effetto concreto dell'atto finiva per essere la trasmissione dei rilevi a Procura della Repubblica e Corte dei Conti per le eventuali azioni di competenza.
In sostanza, la delibera – proprio perché intervenuta ben oltre il termine massimo previsto per la sua adozione – da un lato non adempieva alla sua funzione, dall'altro produceva un immediato effetto lesivo relativamente alla sottoposizione di relativi contenuti agli organi titolari delle azioni di responsabilità penale ed erariale. Di conseguenza, il termine previsto per l'adozione della stessa deve considerarsi perentorio, essendo collegato all'esercizio di un potere amministrativo che può produrre effetti pregiudizievoli nella sfera giuridica dei destinatari, e che come tale deve avere delle tempistiche prefissate a tutela del diritto di difesa e del principio della certezza dei rapporti giuridici.