Il CommentoAmministratori

Autonomia, rischio inapplicabilità per il sistema di finanziamento basato sui costi e fabbisogni standard

di Ettore Jorio

Una seduta della Conferenza Stato-Regioni sulla bozza di lavoro elaborata dal ministro Calderoli (si veda NT+ Enti locali & Edilizia del 17 novembre), turbolenta e conclusasi con poco successo "di pubblico" istituzionale. É quanto successo il 17 novembre, a conferma, secondo la cabala, che occorre stare più attenti ai numeri non beneauguranti nella fissazione degli eventi che contano. Si sa, il regionalismo differenziato - alias l'autonomia (ma) legislativa differenziata - è una brutta gatta da pelare, anche a causa della ingiustificata maldicenza ideologica dedicatagli dai soliti cantori dell'immaginato pericolo per il Mezzogiorno. Da coloro che amano, per mestiere, immaginarlo governato sempre da incapaci e non da decisori illuminati.

Un muletto, come modello di lavoro
In linea di massima è da condividersi il quadro normativo emergente dall'ultima bozza del Ddl Calderoli trasmessa alle Regioni, diversa da quella in circolazione nei giorni antecedenti. Non condivisibile invece il non condizionare, in discontinuità con il Ddl Boccia e quello di Gelmini, il regionalismo differenziato a regime - cui potranno fare ricorso le Regioni istanti condivise a seguito della procedura dettata dall'articolo 2 - alla individuazione e determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni (Lep), di cui all'articolo 117, comma 2, lettera m), della Costituzione. Specie di quelli afferenti ai diritti sociali.

Una prima perplessità
Dalla lettura dell'elaborato risulta tuttavia introdotta una disciplina «in corso d'opera» della definizione del sostegno finanziario ai medesimi, che si offre alle Regioni ricorrenti alla suddetta prescrizione costituzionale (articolo 116, comma 3), dall'effetto verosimilmente dilatorio, considerata l'esperienza negativa maturata dal 2011. Conseguentemente, la prima fase dell'applicazione suscita, invero, dei dubbi applicativi.
Al di là del richiamo alla Costituzione, il rinvio per la definizione dei lavori «entro dodici mesi» per la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni sembra essere la reiterazione delle cause del ritardo registrato a oggi, nel non essere stati capaci di realizzarla, per quanto riguarda le prestazioni socio-sanitarie così come individuate dal Dlgs 68/2011.

Costi e fabbisogni standard ad libitum
Ciò suscita altresì il timore della inapplicabilità dell'auspicato sistema di finanziamento basato sui costi e fabbisogni standard (qualitativo), nella sanità e nel sociale, e sul fabbisogno standard (quantitativo) per l'esercizio delle funzioni fondamentali dei Comuni, Province e Città metropolitane. Con il conseguente rischio di registrare un regionalismo differenziato attuato ma non assistito dalle risorse sufficienti perché inadeguatamente garantito da quella spesa storica che ha determinato il collasso delle regioni del Mezzogiorno. Dunque, troppi rinvii di tempi e di lavori assegnati alle solite commissioni, sino ad oggi incapaci a determinare alcunché, atteso che non si è pervenuti da oltre dieci anni: 1) alla definizione dei Lep; 2) alla valorizzazione dei costi standard, propedeutici a definire i fabbisogni standard regionali; 3) ai fabbisogni standard valorizzati degli ee.ll.

I fabbisogni standard previsti nella legge 42/2009 sono di due distinte tipologie
Un'altra osservazione riguarda la confusione che si fa tra fabbisogni standard, garanti delle funzioni del sistema autonomistico locale, e tra il sistema costi/fabbisogni standard, garante della salute dei cittadini, intendendo per tale l'assistenza socio-sanitaria uniformemente assicurata. Non si comprende, infatti, la confusione che si fa tra la determinazione dei costi standard degli enti locali, da determinarsi con le procedure sino a oggi fallimentari, di cui al Dlgs 216/2010, con i fabbisogni standard riferibili alla determinazione delle risorse da valorizzarsi in modo differenziato alle Regioni, attraverso gli individuati costi standard riferiti ai macro-livelli assistenziali dei Lea.
Le procedure convenute al comma 1 dell'articolo 4 basate sul fabbisogno standard (quantitativo perché valorizzato economicamente per funzioni), con espliciti richiami alla Sose e all'Istat, sono riferibili esclusivamente alla determinazione mediante questionari. Quella metodologia che ha fallito sino ad oggi la corretta individuazione delle risorse necessarie perché gli enti locali possano assicurare le loro undici funzioni fondamentali.
Il sistema costi/fabbisogni standard (quali-quantitativi) afferenti invece alla sanità e all'assistenza sociale, garantiti da una perequazione al 100%, comporta : a) la valorizzazione dei costi standard riguardanti le singole prestazioni sociosanitarie; b) la successiva determinazione dei fabbisogni regionali calcolati sulla base del bisogno epidemiologico e dei rischi epidemici delle singole regioni, dell'età media dell'utenza (più risorse a quella più vecchia) e degli indici di deprivazione socio-economica e culturale che le stesse esprimono.

L'argomento dirimente
All'articolo 4, comma 2, è completamente omesso, così come trascurato in tutto il testo legislativo, il fondo perequativo di cui all'articolo 119, comma 3, della Costituzione.
Non solo. La quota di riferimento del fondo perequativo dovuta alle Regioni più povere (preposte ai territori con minore capacità fiscale per abitante) non è affatto compresa nella somma delle risorse finalizzate a «l'integrale finanziamento delle funzioni trasferite». Ciò in non assoluta coerenza e armonia con l'art. 119, co. 4, della Costituzione, che offre alla quota di fondo («Le risorse derivanti dalle fonti di cui ai commi precedenti», per l'appunto il quarto, istitutivo - come detto - del fondo perequativo) la strumentalità maggiore per sopperire alla mancanza di risorse drenate ordinariamente dalle Regioni più povere (si veda NT+ Enti locali & Edilizia del 16 novembre). Insomma, ci sarà tanto da lavorare sul muletto.