Avvocati incaricati dalla Pa, illegittimi i compensi inferiori ai minimi tariffari
L'ente deve comunque tenere conto del contenuto della prestazione svolta
È illegittimo l'avviso pubblico indetto da un Comune per l'affidamento di incarichi di assistenza legale, rappresentanza e difesa in giudizio che prevede compensi professionali particolarmente bassi. Lo afferma il Tar Campania con la sentenza n. 7037/2022.
Il caso
L'Ordine degli avvocati ha impugnato l'avviso pubblicato da un comune per l'aggiornamento dell'elenco di avvocati per l'affidamento degli incarichi di assistenza legale, limitatamente alle previsioni relative alla determinazione del compenso, ritenuto inferiore rispetto ai parametri stabiliti dal Dm 55/2014, come aggiornato dal Dm 147/2022. Il Comune si è opposto ricordando che il Consiglio di Stato ha ritenuto legittimo il bando che abbia a oggetto una consulenza gratuita, in quanto il professionista, nell'esercizio dei diritti di libertà costituzionalmente garantiti, può ben decidere di lavorare in assenza di un corrispettivo, atteso che nell'ordinamento italiano non è rinvenibile alcuna disposizione che vieta, impedisce od ostacola l'individuo nella facoltà di compiere scelte libere in ordine al come, quando e quanto impiegare le proprie energie lavorative pur in assenza di una controprestazione, un corrispettivo o una retribuzione. Il Tar Campania non ha condiviso questa tesi e accolto il ricorso, con conseguente annullamento delle disposizioni dell'avviso sulla determinazione del compenso spettante all'avvocato per l'attività professionale svolta.
L'equo compenso
Il riferimento è l'articolo 19-quaterdecies, comma 3, del Dl 148/2017 che ha inserito l'articolo 13-bis alla disciplina dell'ordinamento della professione forense (legge 247/2012), in cui è codificato il principio secondo cui un compenso è equo «quando risulta proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro svolto, nonché al contenuto e alle caratteristiche della prestazione legale», tenuto conto dei parametri individuati con apposito decreto. Principio che espressamente si applica anche alla pubblica amministrazione. I giudici amministrativi campani sostengono che non necessariamente l'ente pubblico deve determinare il compenso in base ai parametri del Dm 55/2014, ma che debba comunque tenere conto del contenuto della prestazione, con particolare riferimento all'impegno quali-quantitativo che essa richiede e implica, potendosi certo ammettere compensi inferiori ma non tali da risultare completamente sganciati rispetto a quelli liquidabili in base al Dm medesimo. Di questo si tratta nel caso di specie, in quanto i compensi previsti dall'avviso impugnato sono considerati «pressoché irrisori» almeno nel caso di contenzioso di normale difficoltà e che può risultare adeguato solo nel caso di contenziosi molto semplici o non implicanti alcuna particolare questione giuridica. Sono pertanto ritenuti lesivi del principio dell'equo compenso, ma anche illogici, dato che l'avviso prevede un corrispettivo unico e fisso per categorie di contenziosi accorpando tipi di giudizio diversi e senza prevedere la possibilità all'interno delle singole categorie di differenziare il corrispettivo in relazione al contenuto della prestazione.
L'obbligo
La parte finale della sentenza è dedicata a scardinare la tesi del Comune secondo cui il professionista è libero di valutare la convenienza dell'incarico e di rifiutarlo nel caso in cui ritenga non equo il compenso. Tesi non condivisibile in quanto non esclude la violazione dell'articolo 19-quaterdecies, comma 3, cioè la violazione dell'obbligo dell'amministrazione di garantire un compenso equo, che non consente di prevedere compensi non equi, anche se il singolo professionista non è certo obbligato, ove inserito nell'elenco, ad accettare l'incarico e quindi di beneficiare di un compenso non equo.