Amministratori

Avvocato dipendente pubblico part time, l'autosospensione dall'albo non evita la cancellazione

La sospensione riguarda solo l'esercizio dell'attività professionale, ma non incide sulle cause di incompatibilità che rimangono

di Federico Gavioli

L'avvocato dipendente pubblico inpiegato part time che si sospende dall'albo professionale non evita la cancellazione disposta dal consiglio dell'ordine; è il contenuto della sentenza della Corte di cassazione, n. 9545/2021.

La vicenda riguarda un avvocato, pubblico dipendente in regime di part-time non superiore al 50 per cento, iscritto all'albo degli avvocati in virtù dell'articolo 1, comma 56, della legge 662/1996.
Il consiglio dell'ordine degli avvocati, con la delibera del gennaio 2007, aveva ordinato la sua cancellazione dall'albo degli avvocati in ragione della accertata sussistenza della causa di incompatibilità tra l'iscrizione all'albo e il rapporto di impiego pubblico part-time.
La delibera era stata confermata dal consiglio nazionale forense con la sentenza del dicembre 2009.
Successivamente il consiglio dell'ordine aveva accolto la domanda del professionista di sospensione volontaria dall'esercizio dell'attività forense; lo stesso consiglio, tuttavia, aveva ordinato poi la cancellazione dell'avvocato dall'ordine, ritenendo infondata la tesi secondo cui la richiesta di sospensione facoltativa gli permetteva di evitare la questione dell'incompatibilità e il conseguente obbligo di cancellazione dall'albo, con il rapporto di dipendente pubblico a part-time.
Avverso la sentenza sfavorevole l'avvocato dipendente-pubblico è ricorso in Cassazione.
Va ricordato che le disposizioni previste dall'articolo 1, commi 56, 56-bis e 57, legge n. 662/1996, che consentono l'iscrizione dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni con rapporto di lavoro a tempo parziale agli albi professionali, quando la prestazione lavorativa non sia superiore al 50 per cento di quella a tempo pieno (cosiddetta part time ridotto), non si applicano all'iscrizione agli albi degli avvocati per i quali sono previsti i limiti e i divieti di cui alla legge professionale, che appunto prevede l'incompatibilità tra la professione di avvocato con qualsiasi attività di lavoro subordinato, anche se con orario di lavoro limitato ai sensi dell'articolo 18, lettera d), legge n. 247/2012.

La sentenza dei giudici di legittimità
Il ricorso è infondato. I giudici di legittimità hanno osservato che la legge 247/2012, recante «Nuova disciplina dell'ordinamento della professione forense» ha regolamentato e disciplinato compiutamente la professione di avvocato. Tra i requisiti richiesti per l'iscrizione, la norma richiede l'insussistenza «di una delle condizioni di incompatibilità previste dall'articolo 18», disposizione, questa, che al comma 1, lettera d), ha previsto in modo espresso e inequivoco che la professione di avvocato è incompatibile «con qualsiasi attività di lavoro subordinato anche se con orario di lavoro limitato».
L'articolo 20, comma 2, della medesima legge ha previsto che «l'avvocato iscritto all'albo può sempre chiedere la sospensione dall'esercizio professionale». È innegabile che la disposizione non contiene alcun elemento letterale che consenta di ritenere che al professionista, che abbia deciso volontariamente di sospendere l'esercizio professionale, non si applichino le disposizioni che disciplinano la sua iscrizione all'albo professionale e che la sospensione volontaria eviti la cancellazione dall'albo ove i requisiti previsti dalla medesima legge non sussistano più, ovvero, siano in origine mancanti.
La Corte di cassazione ha osservato che la normativa in commento attesta in modo chiaro e inequivoco che l'istituto della sospensione opera soltanto sul piano dell'esercizio dell'attività professionale, ma non incide sulle cause di incompatibilità che rimangono e ne prevedono la cancellazione dall'albo.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©