Concorsi, malattia, retribuzione di risultato, mobilità e comando
La rubrica settimanale con la sintesi delle novità normative e applicative sulla gestione del personale nelle Pa.
Titoli di studio previsti per l’accesso ai concorsi
Il Tar Veneto, sezione IV, con la sentenza 10 settembre 2024 n. 2134, ha precisato che se, da un lato, l’ordinamento prevede di favorire la massima partecipazione ai pubblici concorsi (articolo 1, comma 1, del Dpr 487/1994) nonché la coerenza tra i requisiti di accesso e le competenze proprie della posizione professionale che i vincitori andranno a ricoprire, dall’altro il potere discrezionale dell’amministrazione, nel determinare i titoli di studio richiesti per l’accesso, è ampio. Inoltre, per l’amministrazione è possibile fissare una soglia minima di accesso al concorso avendo riguardo, da un lato, alle caratteristiche intrinseche del posto da ricoprire e, dall’altro, alle esigenze organizzative che postulano, in omaggio al principio costituzionale del buon andamento, una gestione efficiente delle procedure concorsuali.
Attività lavorativa svolta durante lo stato di malattia
È onere del datore di lavoro provare che l’attività svolta dal dipendente durante lo stato di malattia sia tale da mettere a rischio la sua piena guarigione e, quindi, compromettere il proprio interesse. Lo ha affermato la Corte di cassazione, sezione Lavoro, con l’ordinanza 4 settembre 2024 n. 23747. I magistrati hanno ritenuto possibile per il dipendente assente per malattia/infortunio svolgere altra attività, a condizione che quest’ultima non pregiudichi la sua guarigione. Nel caso specifico il lavoratore infortunato aveva svolto attività lavorativa (ripresa da videocamera) nel bar di sua proprietà. La Suprema Corte ha rammentato che è anche con riferimento al licenziamento disciplinare è il datore di lavoro a dover provare tutti gli elemento di fatto che lo giustificano (circostanze oggettive e soggettive); quindi, la violazione (durante lo stato di malattia) degli obblighi contrattuali di diligenza e fedeltà e dei doveri generali di correttezza e buona fede oltre al fatto che l’attività “esterna” sia, di per sé, idonea a far presumere l’inesistenza della malattia o possa pregiudicare o ritardare il recupero fisico ed il rientro in servizio.
Retribuzione di risultato e somme a disposizione
«La retribuzione di risultato, non correlata al solo svolgimento della funzione dirigenziale, presuppone l’instaurazione di una procedura che richiede la previa fissazione di specifici obiettivi e la successiva verifica del relativo grado di realizzazione, essendo finalizzata a remunerare la qualità delle prestazioni e gli obiettivi conseguiti, e riguardando l’apporto del dirigente in termini di produttività o redditività della sua prestazione (Cass. n. 14638/2016); la determinazione dell’indennità di risultato è dunque affidata alle procedure stabilite dalla legge e dalla contrattazione collettiva. Si è in particolare chiarito che, al pari della retribuzione di posizione, la retribuzione di risultato non costituisce una voce automatica ma resta subordinata, per ciascun dirigente, a specifiche determinazioni annuali, volte a vagliare la presenza in concreto dei relativi presupposti, e da effettuarsi solo a seguito della definizione, parimenti annuale, degli obiettivi e delle valutazioni degli organi di controllo interno, oltre che al rispetto dei limiti delle risorse disponibili e della capacità di spesa dell’Amministrazione interessata. La disponibilità delle risorse viene pertanto definita a monte in sede di accordo sindacale all’esito delle valutazioni discrezionali e a tali criteri la P.A. è tenuta ad uniformarsi, senza che possa configurarsi alcun profilo di colpa. Né può configurarsi alcun vulnus nella riduzione l’entità della indennità di risultato a fronte dell’accertamento in sede sindacale dell’indisponibilità delle risorse, in quanto non sussistono diritti quesiti». Questa è la sintesi realizzata da parte dell’Aran, nella newsletter n. 17 del 16 settembre 2024 in merito all’ordinanza della Corte di cassazione, sezione Lavoro, 17 luglio 2024 n. 19692.
Le controversie per mobilità e comando
Il Consiglio di Stato, sezione III, con la sentenza 17 settembre 2024 n. 7615, ha ricordato che «La mobilità, anche esterna, dei pubblici dipendenti va qualificata come mera cessione di un contratto già in essere e, pertanto, le relative controversie rientrano nella cognizione del giudice ordinario, che ha giurisdizione sull’unico rapporto al momento della lesione dei relativi diritti». Di fatto, in caso di mobilità e comando, integrando le due fattispecie una mera modificazione soggettiva del rapporto di lavoro con il consenso di tutte le parti e, quindi, una cessione del contratto, non viene in rilievo la costituzione di un nuovo rapporto lavorativo a seguito di procedura selettiva concorsuale e, dunque, la residuale area di giurisdizione del giudice amministrativo di cui al Dlgs 30 marzo 2001 n. 165, articolo 63, comma 4.