Personale

Condanna per corruzione al dipendente, la Pa si rivale per danno all'immagine e da disservizio

La mancata entrata per un illecito di rilevanza penale consente alla Pubblica amministrazione di agire su entrambi i fronti

di Claudio Carbone

Il danno da mancata entrata per un illecito di rilevanza penale consente alla Pubblica amministrazione di agire nei confronti del dipendente sia per danno all'immagine e sia per danno da disservizio. A queste conclusioni è giunta la Corte dei conti, Sezione Giurisdizionale per la Regione Veneto con la sentenza n. 262/2022.

La decisione è arrivata a seguito della citazione formalizzata dalla Procura regionale che ha convenuto in giudizio dinanzi alla Sezione giurisdizionale due Funzionari per sentirli condannare al risarcimento del danno erariale in solido tra loro a titolo di danno da mancata entrata e a titolo di danno da disservizio e di danno all'immagine, addebitabili questi ultimi in misura diversa tra loro, in favore dell'agenzia delle Entrate e del ministero dell'Economia e delle Finanze, oltre alla rivalutazione monetaria secondo gli indici Istat, agli interessi legali decorrenti dal deposito della sentenza fino all'effettivo soddisfo e alle spese di giustizia, queste ultime a favore dello Stato.

La Procura regionale ha avviato l'attività istruttoria sulla base della specifica e concreta notizia di danno, evincibile da diversi articoli di stampa che si riferivano a condotte illecite della corruzione e della rivelazione e utilizzazione di segreti d'ufficio, riconducibili ai convenuti, quali dirigenti dell'agenzia delle Entrate.
Sempre ad avviso della procura regionale, le condotte per le quali i convenuti sono stati sottoposti ad ordinanza cautelare, prima, e a condanna su accordo delle parti, all'esito del procedimento penale, oltre ad aver rivestito rilevanza penale, avrebbero prodotto un danno patrimoniale diretto, un danno all'immagine, un danno da disservizio. Il giudice contabile con la sentenza in commento ha confermato il quadro accusatorio. Infatti, in relazione al danno patrimoniale diretto concretizzatosi in una mancata entrata, le condotte illecite si inseriscono nell'ambito di un accordo corruttivo intercorso tra le parti e finalizzato a favorire il debitore nel contesto di procedure conciliative gestite a vario titolo dai dirigenti dell'agenzia delle Entrate.

Quanto al danno all'immagine, è stata evidenziata la sussistenza dei presupposti della normativa in materia e in particolare, la presenza di una sentenza passata in giudicato da cui si evinceva la responsabilità penale dei convenuti, per i reati di corruzione (articolo 319 del codice penale) e di rivelazione di segreto d'ufficio (articolo 326 del codice penale), entrambi contenuti nel Capo I, titolo II del Libro secondo del codice penale. Il clamor fori, inoltre, sarebbe evincibile dagli articoli di giornale, da cui sarebbe evidente il grave discredito e la lesione dell'immagine dell'amministrazione di appartenenza. L'elemento soggettivo sarebbe da individuare nel dolo come comprovato dagli atti del procedimento penale, da cui emergerebbe chiaramente la consapevolezza della violazione di legge e la volontà del danno. In merito al danno da disservizio, questo è stato identificato nel vulnus subito dall'apparato pubblico sotto il profilo del corretto funzionamento dello stesso e nell'aver ricevuto l'amministrazione datrice di lavoro una prestazione difforme da quella pattuita, inidonea a soddisfare i canoni della legalità, efficacia, efficienza ed economicità e, in sostanza, in contrasto con il principio di buona amministrazione.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©