Personale

Controlli medici o accertamenti «non urgenti e indifferibili» non salvano il dipendente dalla sanzione per assenza a visita fiscale

È legittima la trattenuta sulla retribuzione operata dal datore di lavoro pubblico

di Consuelo Ziggiotto e Salvatore Cicala

È legittima la trattenuta operata dal datore di lavoro pubblico, in base all'articolo 5, comma 14, della legge 638/1983, sulla retribuzione spettante al lavoratore in malattia per i giorni in cui quest'ultimo, durante le fasce orarie di reperibilità, si è recato ad effettuare esami diagnostici che, ancorché prescritti e prenotati, non erano urgenti e indifferibili e, pertanto, è risultato irreperibile alla visita fiscale. Lo ha stabilito la sentenza della Corte di cassazione, sezione lavoro, n. 33180/2021.

A fronte dell'assenza alla visita fiscale di controllo, un ente locale ha provveduto ad applicare nei confronti di un lavoratore la sanzione della perdita del trattamento economico, come previsto dall'articolo 5, comma 14 della legge 638 del 1983, ritenendo le motivazioni addotte insufficienti. In particolare, il dipendente ha motivato la sua assenza dal domicilio, nelle fasce orarie di reperibilità, riferendo della necessità di svolgere alcuni esami diagnostici. Il dipendente in questione ha agito ritenendo che la disciplina contrattuale del comparto degli enti locali (all'epoca dei fatti l'articolo 21, comma 13 del contratto del 6 luglio 1995; disposizione confermata integralmente dal contratto del 21 maggio 2018 con l'articolo 36, comma 15) non subordini l'allontanamento da casa per visite mediche o accertamenti, nelle ore di reperibilità, alla natura urgente di tali incombenti e ha sottolineato, altresì, di aver adempiuto agli obblighi comunicativi previsti dalla disciplina contrattuale con tentativi di contatto telefonico, che, però, non hanno prodotto esito positivo (per irraggiungibilità dell'ufficio preposto dell'ente). Per il datore di lavoro gli esami diagnostici svolti dal dipendente, ancorché prescritti e prenotati, non erano urgenti ed indifferibili e pertanto non erano tali da giustificare l'assenza. Cosicché, di fronte a prese di posizioni contrapposte, i lavoratori hanno portato la questione sui tavoli giudiziari. La Corte di appello, confermando la decisione del giudice di primo grado, ha ritenuto di accogliere la posizione dell'ente così il ricorrente ha proposto ricorso in Cassazione.

Per la cassazione, il caso di specie non afferisce tanto all'applicabilità o meno di una sanzione disciplinare, ma integra un obbligo in capo all'amministrazione di ottenere il recupero delle somme non dovute al lavoratore per aver contravvenuto a specifici obblighi normativamente prescritti. Infatti, l'articolo 5, comma 14 della legge 638 del 1983 prevede che il lavoratore che risulti assente alla visita di controllo senza giustificato motivo decade dal diritto a qualsiasi trattamento economico per l'intero periodo sino a dieci giorni e nella misura della metà per l'ulteriore periodo, esclusi i giorni di ricovero ospedaliero o già accertati da precedente visita di controllo. Pertanto, si legge nella sentenza, il ricorso per cassazione è mal posto, in quanto basato su una prospettazione giuridico-fattuale (sanzione disciplinare) non coerente con quanto effettivamente controverso tra le parti.

Quanto, poi, all'obbligo che incombe sul dipendente di comunicare al datore di lavoro qualsiasi allontanamento, durante le fasce di reperibilità, dall'indirizzo comunicato, non è sufficiente che i tentativi di contatto telefonico non abbiano prodotto esito (per irraggiungibilità dell'ufficio preposto dell'ente), dovendo invece il lavoratore, secondo il principio di correttezza, adempiere all'obbligo comunicativo con ogni variante possibile. La Corte di cassazione ha dichiarato, pertanto, il ricorso inammissibile.

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