Personale

Della prestazione lavorativa non retribuita va sempre dimostrata la non utilizzabilità

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di Carmelo Battaglia e Domenico D'Agostino

Con l’ordinanza n. 14419 del 2019, la Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, ha dichiarato inammissibile il ricorso del datore di lavoro che non ha retribuito un proprio dipendente sulla base della presunta (ma non dimostrata) non utilizzabilità della prestazione lavorativa di questi. Tocca al datore di lavoro, infatti, dimostrare l’impossibilità oggettiva di utilizzare la prestazione del dipendente in base alla quale poi gli nega la retribuzione. Pertanto, ogni qualvolta il datore non dimostri , non potrà in alcun caso imputare al lavoratore la mancata prestazione e, quindi, procedere alla decurtazione della retribuzione.

Il fatto
Nel caso all’esame della Suprema Corte, l’Ente datoriale aveva trattenuto l’importo pari a 2,5 giornate lavorative ad un dipendente che aveva, dapprima, aderito ad uno sciopero sindacale, poi annullato: l’Ente datoriale avrebbe dovuto, secondo quanto sostenuto dalla Cassazione, dimostrare l’impossibilità di adibire il dipendente, non più assente, alla prestazione lavorativa, con la conseguenza che, in mancanza di detta prova, la decurtazione stipendiale è risultata illegittima e da rimborsare.

Le considerazioni della Corte
Il datore di lavoro non può unilateralmente sospendere l’attività lavorativa e, specularmente, rifiutare di corrispondere la retribuzione, perché se lo fa incorre in un inadempimento contrattuale, previsto in generale dalla disciplina delle obbligazioni corrispettive, secondo cui il rifiuto di eseguire la prestazione può essere opposto da un contraente (nella specie il datore di lavoro) soltanto se l’altra parte (il lavoratore) ometta di effettuare la prestazione dovuta, ma non già quando questa sia impedita dalla volontà datoriale unilaterale, salva la prova a carico del medesimo della impossibilità sopravvenuta.
In base agli artt. 1218 e 1256 Cc, inoltre, la sospensione unilaterale del rapporto da parte del datore di lavoro è giustificata ed esonera il medesimo datore dall’obbligazione retributiva, soltanto quando non sia imputabile a fatto dello stesso, non sia prevedibile ed evitabile e non sia riferibile a carenze di programmazione o di organizzazione aziendale, ovvero a contingenti difficoltà di mercato.
La legittimità della sospensione va verificata in riferimento all’allegata situazione di temporanea impossibilità della prestazione lavorativa: solo ricorrendo il duplice profilo dell’impossibilità della prestazione lavorativa svolta dal lavoratore e dell’impossibilità di ogni altra prestazione lavorativa in mansioni equivalenti, è giustificato il rifiuto del datore di lavoro di riceverla.

Conclusioni
Il dipendente “sospeso” non è tenuto a provare d’aver messo a disposizione del datore di lavoro le sue energie lavorative nel periodo in contestazione, in quanto, per il solo fatto della sospensione unilaterale del rapporto di lavoro e quindi del rifiuto datoriale di ricevere la prestazione, che realizza un’ipotesi di mora credendi, il prestatore, a meno che non sopravvengano circostanze incompatibili con la volontà di protrarre il rapporto suddetto, conserva il diritto alla prestazione retributiva.
Nel caso all’esame della Suprema Corte, il datore ha integrato la mora accipiendi per avere rifiutato la prestazione del dipendente senza dimostrare l’impossibilità di utilizzare la stessa in qualunque utile modalità.

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