Appalti

Gravi illeciti, esclusione per reati non accertati possibile anche nel vecchio codice

Una sentenza del Consiglio di Stato permette di fare luce su norme di riferimento (tra vecchio e nuovo regime) e compiti della Pa in caso di macchie sul curriculum di impresa emerse in corso di gara

di Roberto Mangani

L'ente appaltante può legittimamente escludere dalla gara l'operatore economico per grave illecito professionale nel caso in cui un suo dirigente apicale sia stato soggetto alla misura cautelare degli arresti domiciliari per i reati di turbata libertà degli incanti e di corruzione.
Ciò sul presupposto che le misure di «self cleaning» adottate dal medesimo operatore siano ritenute insufficienti, anche in relazione al loro effettivo stato di attuazione, dall'ente appaltante.
Nella valutazione degli elementi posti a fondamento del provvedimento di esclusione nonché delle misure di self cleaning adottate dal concorrente l'ente appaltante gode di un'ampia discrezionalità, rispetto alla quale il possibile sindacato del giudice amministrativo resta confinato nei limiti in cui l'esercizio di tale discrezionalità appaia connotato da illogicità e contraddittorietà, con motivazioni che appaiono chiaramente pretestuose e prive di un valido fondamento.

Sono queste le principali affermazioni contenute nella sentenza del Consiglio di Stato, Sez. III, 9 maggio 2023, n. 4669, che da un lato delimita l'efficacia delle misure di self cleaning, sottoponendole al giudizio ampiamente discrezionale dell'ente appaltante; dall'altro, offre l'occasione per qualche riflessione in relazione alla nuova disciplina del grave illecito professionale contenuta nel Dlgs 36/2023.

Il fatto
Una centrale di committenza aveva indetto una procedura aperta per l'affidamento della concessione del servizio di refezione scolastica a favore di un ente locale. Nel corso della procedura l'ente appaltante aveva escluso un concorrente per grave illecito professionale (oltre che per significative carenze nell'esecuzione di un precedente contratto). Il provvedimento di esclusione veniva motivato in relazione al venir meno dell'affidabilità morale e professionale del concorrente, a sua volta dedotta dall'intervenuta misura cautelare degli arresti domiciliari nei confronti di un dirigente apicale dell'impresa per reati strettamente connessi all'operatività della stessa nel settore dei contratti pubblici.

Nello specifico, l'ente appaltante attribuiva un valore dirimente ai seguenti elementi:

a) il ruolo apicale rivestito dal soggetto interessato nell'ambito dell'organizzazione aziendale;
b) l'oggetto del procedimento penale, relativo a gravi reati di natura corruttiva nell'ambito dei contratti pubblici, per di più ipotizzati in relazione a precedenti gare riguardanti il medesimo servizio oggetto di affidamento nella gara in questione;
c) imputabilità della condotta criminosa del dirigente apicale all'impresa, se non altro sotto il profilo dell'inadeguatezza della catena di comando, dei controlli e delle procedure di verifica interna;
d) insufficienza delle misure di self cleaning adottate dal concorrente.

Nel corso del contraddittorio che l'ente appaltante aveva attivato con l'impresa prima di procedere con l'esclusione, quest'ultima aveva particolarmente insistito sulle misure di self cleaning adottate. In particolare, aveva evidenziato in primo luogo di aver proceduto alla sospensione a tempo indeterminato dal servizio del dirigente in questione, procedendo alla contestuale revoca della procura. Aveva inoltre comunicato di aver proceduto all'organizzazione di specifici corsi di formazione in funzione anticorruttiva e di aver conferito un incarico a uno studio legale specializzato per le attività di audit e di revisione del modello organizzativo e delle procedure di controllo interno.

Anche alla luce di tale elementi – che evidentemente non erano stati ritenuti sufficienti dall'ente appaltante – il concorrente procedeva ad impugnare l'intervenuto provvedimento di esclusione. Il Tar Lombardia respingeva il ricorso, confermando quindi la legittimità dell'operato dell'ente appaltante. La sentenza di primo grado veniva appellata presso il Consiglio di Stato.

In sede di appello il concorrente escluso contestava le conclusioni del giudice amministrativo di primo grado, rilevando in particolare l'errore della sentenza appellata per aver trasferito in maniera automatica la presunta responsabilità del dirigente dell'azienda sull'azienda stessa. In questo modo avrebbe configurato in capo a quest'ultima una sorta di responsabilità oggettiva, laddove invece l'eventuale responsabilità dell'impresa in quanto tale doveva essere fondata su un'adeguata motivazione in merito alla effettiva riconducibilità alla stessa dei fatti contestati.

Inoltre, l'ente appaltante avrebbe omesso di compiere un'adeguata istruttoria in merito ai fatti contestati, indipendente dalla valutazione di carattere penale. Infatti la qualifica del grave illecito professionale deve ispirarsi a criteri autonomi e distinti da quelli adottati ai fini dell'accertamento del presunto reato. Ancora, l'ente appaltante avrebbe irragionevolmente ritenuto inadeguate le misure di controllo interno all'azienda, anche alla luce di quanto affermato dalla giurisprudenza penale secondo cui l'avvenuta commissione di un reato non è di per sé dimostrativa dell'inadeguatezza del modello organizzativo della società, se il reato è stato compiuto con atti fraudolenti che lo hanno violato. Infine, secondo l'appellante la sentenza di primo grado aveva errato nello svalutare le misure di self cleaning adottate dall'impresa – convergendo con la valutazione operata dall'ente appaltante – che al contrario dovevano ritenersi tempestive ed efficaci.

Il Consiglio di Stato: il grave illecito professionale
Il Consiglio di stato ha respinto l'appello. In via preliminare il giudice amministrativo di secondo grado ricorda che ai fini della definizione del grave illecito professionale la nozione astratta di affidabilità e integrità dell'operatore economico deve essere declinata in concreto tenendo conto delle circostanze di fatto che caratterizzano la fattispecie, tra cui rientrano anche le misure di self cleaning adottate. Nel caso di specie la valutazione in concreto operata dall'ente appaltante si è basata su un'istruttoria accurata, peraltro compiuta in contraddittorio con il soggetto interessato. A seguito di tale istruttoria il provvedimento di esclusione è risultato sorretto da un'ampia e articolata motivazione, con cui l'ente appaltante ha dato evidenza del proprio giudizio discrezionale in merito all'incidenza delle vicende che hanno interessato l'operatore sull'affidabilità professionale dello stesso, nonché sulla ritenuta insufficienza delle misure di self cleaning che lo stesso ha dichiarato di aver posto in essere.

In particolare, quanto alla rilevanza della vicenda penale che ha interessato il dirigente apicale dell'impresa, emerge come l'ente appaltante ne abbia operato una adeguata valutazione. Né può essere considerato di ostacolo ai fini dell'incidenza sull'integrità professionale dell'operatore la circostanza che tale vicenda era ancora allo stato di procedimento penale pendente, non essendo intervenuta alcuna sentenza di condanna, neanche non definitiva. Sotto quest'ultimo profilo il giudice amministrativo non ha ritenuto dirimente l'obiezione avanzata dal ricorrente.

Il Consiglio di Stato ricorda infatti il principio giurisprudenziale consolidato secondo cui la previsione che sancisce l'esclusione per grave illecito professionale costituisce una norma di chiusura, che consente all'ente appaltante di valutare qualunque pregressa vicenda, compresa evidentemente quella che ha dato luogo a un procedimento penale, ancorchè ancora in fase istruttoria. Ciò che assume rilievo è che il provvedimento di esclusione sia accompagnato da una motivazione adeguata e puntuale che consenta di dedurre che la vicenda che ha interessato il concorrente, per la sua gravità, è idonea incidere sulla moralità professionale nel senso di compromettere il necessario rapporto di fiducia tra impresa ed ente appaltante.

Nel caso di specie i fatti contestati al concorrente sono gravi e del tutto conferenti, trattandosi dell'irrogazione della misura cautelare degli arresti domiciliari nei confronti di un dirigente apicale dell'impresa relativamente a un procedimento penale inerente a reati strettamente connessi alle gare pubbliche (turbata libertà degli incanti e corruzione).Va peraltro sottolineato che i fatti contestati al dirigente presupponevano l'elargizione di un'ingente somma di denaro, la cui disponibilità non poteva far capo allo stesso a titolo personale. Il che rendeva evidente quanto meno l'inefficacia delle procedure aziendali e dei meccanismi di controllo interno ai fini di impedire la condotta posta in essere. L'ente appaltante ha quindi correttamente motivato l'esclusione evidenziando l'inidoneità del modello organizzativo della società ad impedire illeciti, che non potevano quindi essere attribuiti esclusivamente alla condotta fraudolente del dirigente.

Le misure di self cleaning
A fronte del giudizio di inadeguatezza del modello organizzativo e delle procedure interne l'ente appaltante ha poi ritenuto che non fossero sufficienti le misure rimediali annunciate dall'operatore economico.Tali misure si sostanziavano in: organizzazione di corsi di formazione per il personale; conferimento di incarico a uno studio legale per le attività di audit e revisione delle procedure: a valle, adozione di un nuovo modello organizzativo. Tuttavia l'ente appaltante aveva ritenuto – e il Consiglio di Stato ha confermato la correttezza di tale valutazione – che tali misure, non essendo state ancora attuate ma semplicemente annunciate, avevano ancora carattere meramente formale e non potevano quindi costituire elemento idoneo a modificare il giudizio di inaffidabilità dell'impresa sotto il profilo morale e professionale.

Il nuovo Codice: grave illecito professionale e procedimenti penali in corso
Il Dlgs 36/2023 ha rivisto in maniera significativa la disciplina del grave illecito professionale. In particolare, nell'ambito di una generale opera di sistematizzazione delle precedenti disposizioni e di identificazione in termini tassativi delle ipotesi di grave illecito professionale, particolare interesse e notevole dibattito hanno suscitato due di queste ipotesi.

Ci si riferisce in primo luogo alla possibilità di considerare illecito professionale grave la contestazione all'operatore economico – o alle persone fisiche che lo rappresentano – della commissione di uno dei reati che hanno particolare incidenza nel settore dei contratti pubblici (quelli indicati all'articolo 94, comma 1 del Dlgs 36). Questa previsione va letta in stretto coordinamento con l'altra che indica gli atti da cui si può ricavare la ritenuta commissione del reato: richiesta di rinvio a giudizio; decreto che dispone il rinvio a giudizio; provvedimenti cautelari personali o reali emessi dal giudice penale; sentenza di condanna non definitiva; decreto penale di condanna non irrevocabile; sentenza non irrevocabile di applicazione della pena su richiesta (c.d. patteggiamento). Gli atti da cui dedurre la ritenuta commissione del reato risalgono quindi dalla sentenza di condanna non definitiva fino alla semplice richiesta di rinvio a giudizio.

La seconda ipotesi riguarda la contestata o accertata commissione dei seguenti reati: esercizio abusivo della professione; bancarotta semplice e fraudolente e resti connessi; reati tributari, delitti societari e contro l'industria e commercio; determinati reati urbanistici. La disposizione fa anche in questo caso riferimento a reati non solo accertati ma anche solo contestati. Anche questa disposizione va letta in coordinamento con la successiva, che individua quali mezzi di prova idonei a configurare l'illecito professionale grave i seguenti atti: sentenza di condanna definitiva; decreto penale di condanna irrevocabile; condanna non definitiva; provvedimenti cautelari reali o personali emessi dal giudice penale. Anche in questo caso quindi non è necessario un provvedimento definitivo per determinare l'eventuale esclusione per illecito professionale grave, anche se non si arriva a ipotizzare – come nel caso precedente – la sufficienza della semplice richiesta di rinvio a giudizio o del decreto che lo dispone.

In entrambi i casi è rimessa all'ente appaltante la valutazione discrezionale se i provvedimenti emanati siano idonei a configurare l'illecito professionale grave, in quanto incidenti sull'affidabilità e integrità del concorrente. L'eventuale provvedimento di esclusione deve contenere adeguata motivazione su tutti i profili (sufficienza degli elementi, idoneità a incidere sull'affidabilità del concorrente, adeguati mezzi di prova).

Le due ipotesi da ultimo esaminate – e in particolare la prima per la quale viene ritenuto elemento sufficiente anche la semplice richiesta di rinvio a giudizio – rappresentano novità che stanno già facendo molto discutere. La principale obiezione critica che viene mossa è che si può procedere all'esclusione anche senza che vi sia un provvedimento definitivo di condanna, quindi senza un accertamento inequivocabile in merito alla commissione del reato. La sentenza in commento offre tuttavia spunti di riflessione proprio sotto quest'ultimo profilo. La pronuncia rende evidente come già nel regime del Dlgs 50/2016 – pur in assenza di una norma esplicita in questo senso - l'ente appaltante poteva procedere all'esclusione del concorrente anche in mancanza di una sentenza di condanna definitiva, purché il relativo provvedimento fosse accompagnato da una motivazione adeguata e puntuale. Non sembra quindi possa essere considerata una novità in termini assoluti la possibilità indicata, che evidentemente risponde all'esigenza legittima di evitare che partecipino alle gare operatori per i quali sussistano elementi circostanziati che, ancorché non ancora cristallizzati in sentenze di condanna definitiva o provvedimenti analoghi, facciano ragionevolmente presumere che gli stessi abbiano posto in essere gravi comportamenti criminosi, tali da far venir meno il necessario rapporto di fiducia con l'ente appaltante.

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