Il consigliere non ha alcun onere di motivare le richieste di accesso agli atti del Comune
Diritto incondizionato a tutti i documenti che possano essere di utilità all'espletamento delle loro funzioni
Rigettare una richiesta del consigliere comunale sul presupposto di una motivazione carente o insufficiente è illegittimo perché giustificherebbe un capriccioso controllo dell'ente, attraverso i propri uffici, sull'esercizio delle funzioni rappresentative e democratiche del portavoce dei cittadini locali.
Secondo il Consiglio di Stato (sentenza n. 2189/2023), la struttura burocratica comunale è il naturale oggetto del controllo riservato al consiglio e sarebbe paradossale se si ergesse invece ad arbitro - senza alcuna investitura democratica - delle forme di esercizio delle potestà pubbliche proprie dell'organo deputato all'individuazione ed al miglior perseguimento dei fini della collettività civica territoriale.
I consiglieri comunali hanno un diritto di accesso incondizionato a tutti gli atti e documenti che possano essere di utilità all'espletamento delle loro funzioni. Ciò anche al fine di permettere di valutare - con piena cognizione - la correttezza e l'efficacia dell'operato dell'amministrazione; nonché per esprimere un voto consapevole sulle questioni di competenza dell'organo di cui sono parte; e per promuovere, anche nell'ambito del consiglio stesso, le iniziative che spettano ai singoli rappresentanti del corpo elettorale locale. In questa prospettiva il diritto di accesso riconosciuto ai consiglieri comunali è strettamente funzionale all'esercizio del ruolo, che va espletato attraverso il controllo sul comportamento degli organi istituzionali decisionali dell'ente locale, ai fini della tutela degli interessi pubblici piuttosto che di quelli privati e personali. Controllo che si configura come espressione del principio democratico dell'autonomia locale e della rappresentanza esponenziale della collettività. Di conseguenza sul consigliere comunale non grava né può gravare alcun onere di motivare le proprie richieste di informazioni; né gli uffici comunali hanno titolo a richiedere e conoscere motivazioni anche quando l'esercizio del diritto in questione si diriga verso atti e documenti relativi a procedimenti ormai conclusi o risalenti ad epoche remote.
Neppure esigenze di riservatezza sono opponibili ai consiglieri comunali in quanto gli stessi sono in ogni caso tenuti al segreto d'ufficio ai sensi della speciale disciplina degli enti locali. Tuttavia – ha evidenziato il massimo giudice amministrativo - il diritto all'informazione del consigliere non è un diritto tiranno rispetto ad altre situazioni che godono di analoga copertura costituzionale, quale è appunto la privacy di terzi. Per cui in queste ipotesi occorre operare un prudente bilanciamento tra le due posizioni - quella dei consiglieri a poter esercitare pienamente e pressoché incondizionatamente il proprio mandato, e quella relativa alla riservatezza di terzi i cui nominativi potrebbero formare oggetto di ostensione - attraverso la messa a disposizione di dati ed informazioni in forma tale da non comportare comunque la divulgazione dei nominativi dei soggetti presenti nei documenti.