Amministratori

In consiglio dei ministri una nuova riforma della Pa e l’autonomia al Nord

Arriva in consiglio dei ministri l’autonomia differenziata per Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna. Ma attenzione: si tratta solo di un esame preliminare a uno schema d’intesa, perché il braccio di ferro con i ministeri sulle competenze da trasferire alle Regioni ha intrecciato una serie di nodi politici tutti da risolvere. Per l’intesa vera e propria, che avvia il cammino verso la legge rafforzata con cui trasferire davvero competenze e funzioni del territorio, ci vorrà tempo. A Palazzo Chigi arriverà anche la legge delega sulla riforma della Pa: intitolata al «miglioramento» della Pubblica amministrazione, la bozza snocciola in otto articoli per rimettere mano a concorsi, premi, regole per i dirigenti, mobilità e contrattazione.

Il primo passaggio dell’autonomia differenziata in consiglio dei ministri ha un obiettivo più politico che pratico. Serve prima di tutto a dare corso alle promesse lanciate nelle scorse settimane dal leader della Lega Salvini, che per andare incontro alle pressioni crescenti da Nord, 14 mesi dopo i referendum del Lombardo-Veneto, aveva garantito l’autonomia in consiglio dei ministri «prima di fine anno». All’atto pratico, però, il trasferimento effettivo alle regioni delle competenze su strade, scuole, ambiente, gestione del territorio, beni culturali e così via ha intrecciato un complicato confronto tecnico con i ministeri che dovrebbero “cedere” attività al territorio. E che non sono propensi a farlo.

L’andamento del negoziato dipende anche dal colore politico dei ministeri, come mostra per esempio la resistenza alzata per esempio da Salute e Infrastrutture (entrambi M5S). L’esame in consiglio dei ministri serve quindi per portare il dossier su un piano politico, dove vanno prese le decisioni necessarie per arrivare al testo dell’intesa vera e propria da tradurre nel disegno di legge da inviare alle Camere. Il tema è divisivo all’interno della maggioranza (si veda Il Quotidiano degli enti locali e della Pa del 29 novembre) anche per i rischi di spostamento di risorse verso Nord temuto dai Cinque Stelle. Anche se va ricordato che il passaggio di consegne si limiterebbe per i primi cinque anni ad assegnare alle Regioni la spesa oggi già sostenuta dallo Stato per le stesse funzioni (costo storico), in attesa di individuare il “prezzo giusto” delle competenze (costo standard).

Al consiglio dei ministri, atteso per stasera ma a rischio slittamento a domattina, arriva anche la legge delega con la nuova riforma della Pa targata Giulia Bongiorno. Tra i temi più spinosi, come dimostra l’esperienza della scorsa legislatura, c’è la riforma dei dirigenti, per i quali la delega punta a stringere le maglie dei criteri che permettono l’assegnazione dell’incarico, limitare a una sola volta la possibile riconferma (se c’è alta specializzazione dei compiti, elevata competenza dell’interessato e «livello significativo» dei risultati raggiunti). Tra i principi c’è anche la limitazione della possibilità di affidare incarichi a esterni nei soli casi in cui non sia possibile trovare le competenze necessarie nei ruoli della Pa. Una spinta all’esterno si incontra invece nei nuovi criteri per la valutazione, che secondo la delega dovrebbero coinvolgere «soggetti estranei alla Pa» anche nella definizione degli obiettivi da valutare. Ma in campo c’è anche l’ennesima revisione del codice disciplinare, delle responsabilità e la possibile estensione di obbligo del giuramento.

Il disegno di legge delega sulla riforma della Pa

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