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Incostituzionale la legislazione regionale della Basilicata in materia di energie rinnovabili

di Guido Befani

È incostituzionale la normativa della regione Basilicata di cui agli articoli 9, 10 e 12 e 13, comma 3, della legge regionale n. 4 del 2019 in materia di energia rinnovabile laddove, determinando un aggravamento del procedimento autorizzativo, risulta lesiva, del principio del buon andamento della Pubblica amministrazione e dello standard di tutela dell’ambiente fissato dal legislatore statale. Le Regioni, infatti, non possono prescrivere limiti generali inderogabili, valevoli sull’intero territorio regionale, specie nella forma di distanze minime, perché ciò contrasterebbe con il principio fondamentale di massima diffusione delle fonti di energia rinnovabili, stabilito dal legislatore statale in conformità alla normativa dell’Unione europea. È quanto afferma la Corte costituzionale, con la sentenza 5 giugno 2020, n. 106.

L’approfondimento
La Corte costituzionale è intervenuta sui limiti della potestà legislativa delle Regioni in materia di fonti energetiche rinnovabili; dichiara l’illegittimità costituzionale di alcune norme della Regione Basilicata in riferimento agli articoli 3, 41, 97, 117, commi primo, secondo, lett. s), e terzo della Costituzione.

La decisione     
Nel dichiarare l’illegittimità costituzionale degli articoli 9, 10, 12 e 13, comma 3, della legge della Regione Basilicata 13 marzo 2019, n. 4, la Corte ha avuto modo di rilevare come, la disciplina del regime abilitativo degli impianti alimentati da fonti di energia rinnovabili, sia riconducibile alla materia concorrente «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia» (art. 117, terzo comma, Cost.). I relativi principi fondamentali sono anche dettati dall’articolo 12, in particolare al comma 10, del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387 (Attuazione della direttiva 2001/77/CE relativa alla promozione dell’energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell’elettricità) e dalle «Linee guida per l’autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili», adottate in attuazione di quest’ultimo, con il Dm 10 settembre 2010; laddove tali Linee guida, adottate in sede di Conferenza unificata, e quindi espressione della leale collaborazione fra Stato e Regione, sono vincolanti.
Per la Corte, infatti, in questo quadro di riferimento le Regioni possono soltanto individuare, caso per caso, aree e siti non idonei alla localizzazione degli impianti, purché nel rispetto di specifici principi e criteri stabiliti dal paragrafo 17.1 dell’Allegato 3 alle medesime Linee guida. In particolare, il giudizio sulla non idoneità dell’area deve essere espresso dalle Regioni all’esito di un’istruttoria, volta a prendere in considerazione tutti gli interessi coinvolti (la tutela dell’ambiente, del paesaggio, del patrimonio storico artistico, delle tradizioni agroalimentari locali, della biodiversità e del paesaggio rurale), la cui protezione risulti incompatibile con l’insediamento, in determinate aree, di specifiche tipologie e/o dimensioni di impianti. Una tale valutazione può e deve utilmente avvenire nel procedimento amministrativo, la cui struttura rende possibili l’emersione di tali interessi, la loro adeguata prospettazione, nonché la pubblicità e la trasparenza della loro valutazione, in attuazione dei princìpi di cui all’art. 1 della legge 7 agosto 1990, n. 241.
Ne consegue che le Regioni non possono prescrivere limiti generali inderogabili, valevoli sull’intero territorio regionale, specie nella forma di distanze minime, perché ciò contrasterebbe con il principio fondamentale di massima diffusione delle fonti di energia rinnovabili, stabilito dal legislatore statale in conformità alla normativa dell’Unione europea.
Nello specifico, con particolare riguardo al corretto inserimento nel paesaggio e sul territorio degli impianti eolici, l’Allegato 4 alle Linee guida contempla la possibilità che vengano introdotte «distanze» (ad esempio, da luoghi di alta frequentazione). Esse, tuttavia, sono configurate come eventuali “misure di mitigazione” dell’effetto, anche visivo, che si riverbera sul territorio e sul paesaggio, a seguito della realizzazione dell’impianto. In ogni caso, esse possono essere adottate solo all’esito di un’adeguata istruttoria.
Sul modello di analoghe norme adottate dal legislatore lucano e dichiarate costituzionalmente illegittime, le norme regionali impugnate prevedono, fra i requisiti di sicurezza inderogabili per l’avvio dell’iter di autorizzazione alla realizzazione di un impianto eolico, il rispetto di distanze minime fra tali impianti, le abitazioni e le strade comunali, senza una previa istruttoria, quindi senza un’adeguata concreta valutazione dei molteplici e rilevanti interessi coinvolti. Per questo, esse si pongono in contrasto con i richiamati principi fondamentali stabiliti dal legislatore statale, e, in specie, con il principio di derivazione europea della massima diffusione degli impianti da fonti di energia rinnovabili.
Ad analoghe considerazioni, inoltre, deve giungersi per l’art. 12 della medesima legge regionale n. 4 del 2019, per contrasto con gli articoli 3, 97 e 117, secondo comma, lett. s), Cost., laddove il procedimento di autorizzazione unica alla realizzazione di impianti di energia da fonti rinnovabili, di cui all’art. 12, co. 4, del Dlgs n. 387 del 2003, è ispirato alle regole della semplificazione amministrativa e della celerità ed è volto a garantire, in modo uniforme sull’intero territorio nazionale, la conclusione entro un termine definito del procedimento autorizzativo, in coerenza con il particolare favor riconosciuto alle fonti energetiche rinnovabili dalla disciplina interna e sovranazionale. Esso, peraltro, è stato puntualmente disciplinato dal legislatore contemperando vari interessi, costituzionalmente rilevanti, per certi versi interni alla medesima materia della tutela dell’ambiente attraverso l’incrocio di diverse tipologie di verifica, il cui coordinamento» – in sede di conferenza di servizi – e la cui acquisizione sincronica, necessari per l’autorizzazione unica finale, non tollerano ulteriori differenziazioni su base regionale.
Pertanto, poiché la puntuale disciplina del procedimento dettata dal legislatore statale e la dettagliata definizione delle fasi e dei termini che conducono al rilascio del provvedimento autorizzatorio unico regionale concorrono a creare una cornice di riferimento che, sintetizzando i diversi interessi coinvolti, ne individua un punto di equilibrio, che corrisponde anche a uno standard di tutela dell’ambiente, la proroga stabilita dal legislatore lucano finisce con l’aggiungere un ulteriore irragionevole anello alla già lunga catena di adempimenti previsti dal legislatore statale, determinando un aggravamento del procedimento autorizzativo, lesivo, ad un tempo del principio del buon andamento della pubblica amministrazione e dello standard di tutela dell’ambiente fissato dal legislatore statale.
Infine, è stata rilevata anche l’illegittimità costituzionale dell’articolo 13, comma 3, della legislazione regionale impugnata, risultata incompatibile con il principio della massima diffusione delle fonti di energia rinnovabili. Essa, infatti, nelle more della adozione della nuova pianificazione energetica ambientale della Regione, pone un tetto massimo alla produzione dell’energia da fonti rinnovabili, ai fini del rilascio delle autorizzazioni di cui all’art. 12 del Dlgs n. 387 del 2003 e così contraddice quanto stabilito al paragrafo 14.5. delle Linee guida, attribuendo al superamento di quel tetto proprio l’effetto di precludere l’avvio o di sospendere la conclusione di procedimenti preordinati al rilascio di nuove autorizzazioni alla realizzazione degli impianti. In tal modo, essa viola anche la previsione di cui all’articolo 12, comma 4, del Dlgs n. 387 del 2003, che costituisce, a sua volta, principio fondamentale nella materia della «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia», ispirato alle regole della semplificazione amministrativa e della celerità, volto a garantire, in modo uniforme sull’intero territorio nazionale, la conclusione entro un termine definito del procedimento autorizzativo.

Conclusioni
Alla luce di queste premesse, ne deriva la declaratoria di l’illegittimità costituzionale degli articoli 9, 10 e 12 e 13 comma 3 della Lr Basilicata n. 4 del 2019.

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