Iva, «il mero godimento» esenta dall'imposta la gestione del patrimonio immobiliare dell'ente locale
In linea di principio la mera riscossione dei canoni non implica di per sè l'esercizio di un'attività commerciale
La Corte di cassazione, con l'ordinanza n. 1164/2023, si pronuncia sulla qualificazione del reddito da locazioni immobiliari posto in essere da un istituto ecclesiastico riconosciuto, in relazione alla spettanza della riduzione dell'Ires al 50% prevista dall'articolo 6, comma 1, del Dpr 601/1973. Nel ricorso la Cassazione ribadisce concetti molto utili e immediatamente applicabili agli enti locali al fine di individuare correttamente l'assoggettamento a Iva nella propria attività immobiliare.
In tema di gestione del patrimonio immobiliare degli enti locali già la circolare n. 36/1989, p. 4, aveva stabilito che ai «fini dell'assoggettamento a tributo, è necessaria la sussistenza del requisito soggettivo e cioè che le operazioni siano effettuate nell'esercizio di imprese come definito dall'art. 4 del D.P.R. n. 633. .(omissis)..Pertanto, le mere locazioni di immobili da parte di detti enti non commerciali rientrano nel campo di applicazione dell'Iva se poste in essere nell'ambito di un'attività commerciale..(omissis)...».
In seguito la circolare n. 32/1991 aveva ulteriormente precisato che «L'attività svolta da enti non commerciali concernente la locazione di beni immobili, comunque acquisiti, nell'ambito delle finalità istituzionali non è idonea di per sé a far assumere agli enti stessi la soggettività passiva agli effetti del tributo. Infatti, l'utilizzazione di tali beni, finalizzata alla riscossione di canoni concretizza lo sfruttamento economico di beni patrimoniali e non l'esercizio di impresa, neppure nei sensi previsti dal richiamato art. 4 D.P.R. n. 633/1972».
La locazione di immobili realizza il presupposto soggettivo in capo all'ente se posta in essere con organizzazione di mezzi e uffici finalizzati allo sfruttamento del patrimonio immobiliare in modo "attivo" così che si escluda il mero godimento del patrimonio ma si configuri l'esercizio d'impresa. Da segnalare in tal senso la sentenza della Cassazione n. 3513/2011 secondo cui una attività svolta esclusivamente dai «normali Uffici amministrativi» del Comune non può configurare un'attività di impresa, ribadendo che l'ente Locale che si limiti a incassare canoni di affitto ed pagare le spese inerenti attraverso i propri Uffici non sta svolgendo attività imprenditoriale, ancorchè si tratti di una "organizzazione" in senso stretto, ma non in senso imprenditoriale, rilevando l'insussistenza del requisito soggettivo stante l'assenza di quella "organizzazione di mezzi" considerata dall'agenzia delle Entrate (e dal legislatore in base all'articolo 4 del Dpr 633/1972) condizione per riconoscere l'esistenza del requisito "soggettivo" di imprenditore commerciale per un ente pubblico non commerciale. Nella citata ordinanza 1164/2023 la Suprema Corte ribadisce che il mero godimento del proprio patrimonio immobiliare (e quindi la sua estraneità all'ambito Iva) si verifica quando «la locazione di immobili si risolve nella mera riscossione dei canoni, senza una specifica e dedicata organizzazione di mezzi e risorse funzionali all'ottenimento del risultato economico».
La Corte afferma che in linea di principio la mera riscossione dei canoni da parte dell'ente, così come l'esecuzione dei pagamenti delle spese riferite agli immobili, non implica di per sè l'esercizio di un'attività commerciale. Al fine di escludere lo svolgimento di una attività organizzata in forma di impresa, occorre verificare, caso per caso, che l'ente non impieghi strutture e mezzi organizzati con fini di concorrenzialità sul mercato, ovvero che non si avvalga di altri strumenti propri degli operatori di mercato, esaminando circostanze di fatto come la ripetitività con la quale si immette sul libero mercato degli affitti il medesimo bene, o la consistenza del patrimonio immobiliare gestito, l'adozione di tecniche di marketing, il ricorso a promozioni, la "presenza attiva" in un mercato con spot pubblicitari, insegne o marchi distintivi.
L'ipotesi di mero godimento ricorre in realtà quando gli immobili sono posseduti al mero scopo di trarne redditi di natura fondiaria, attraverso i quali l'ente si sostiene e si procura i proventi per poter raggiungere i fini istituzionali, compiendo quindi gli interventi conservativi, quali la manutenzione o il risanamento del bene, ovvero quelli migliorativi, atti a consentirne un uso idoneo, mentre, per converso, non rientra nella predetta nozione una gestione caratterizzata dalla presenza di atti volti alla trasformazione del patrimonio immobiliare. Così, ad esempio, affittare un terreno per la posa di un traliccio per ospitare antenne per le telecomunicazioni rientra nel mero godimento del patrimonio, posto che l'ente riscuote semplicemente il canone relativamente a un bene che detiene, mentre se sullo stesso terreno l'ente costruisce il traliccio e le opere conseguenti al fine di installarvi le apparecchiature di trasmissione implica un atteggiamento attivo da imprenditore, che trasforma il bene per aumentarne la produttività economica e che, di conseguenza, fa ricadere il canone (ovviamente maggiorato) in ambito Iva.
L'assoggettamento a Iva della gestione del patrimonio immobiliare degli enti locali è da sempre motivo di incertezze e criticità e deve essere valutato con grande attenzione anche al fine di evitare sanzioni importanti visti gli importi molto rilevanti che sono in gioco.
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di Marco Castellani (*) - Rubrica a cura di Ancrel