Imprese

L'allarme del mondo dell'acciaio: «Senza rottame filiere a rischio»

Bregant (Federacciai): «È una miniera che va difesa, serve intervento normativo»

di Matteo Meneghello

Con buona pace dei microchip, in realtà è forse il rottame la vera materia prima alla base della manifattura italiana, ed è alla scarsità di quest'ultimo, e della conseguente impennata dei prezzi, che molte imprese stanno guardando con preoccupazione in queste settimane. Il rottame ferroso è alla base del ciclo produttivo dell'acciaio da forno elettrico, vale a dire la maggioranza dell'acciaio italiano, visto che l'unico ciclo integrale attivo in Italia, quello di Taranto, oggi contribuisce a sole 4 milioni di tonnellate sulle 24 di output nazionale. Ma di rottame vivono, sempre più, anche gli impianti siderurgici turchi, russi, ucraini, cinesi. E così buona parte del rottame europeo prende il mare. «Bisogna frenare questa situazione, stiamo esportando la nostra ricchezza» ammoniscono Giuseppe Pasini e Giovanni Marinoni, imprenditori siderurgici e rispettivamente presidente di Confindustria Brescia e presidente del settore metallurgico dell'associazione. «Questo - proseguono - avvantaggia le industrie dei competitor che, come se non bastasse, non rispettano i parametri ambientali europei. È un controsenso distribuire risorse con il Recovery fund e poi permettere che la concorrenza si avvantaggi a nostre spese emettendo più CO2 di quanto facciano le realtà italiane».

La situazione è deflagrata di pari passo con il surriscaldamento delle materie prime in tutto il mondo. Il prezzo del rottame è oggi mediamente di circa 350 euro a tonnellata, 150-200 euro in più rispetto a un anno fa. Ma il fenomeno, secondo gli addetti ai lavori, non va liquidato come una bolla. L'apprezzamento del rottame rischia di diventare per molte ragioni strutturale. Il cammino verso la decarbonizzazione di Bruxelles (e per certi versi anche della Cina) obbligherà molti cicli integrali alla riconversione a forno elettrico. In Italia questo è l'indirizzo al quale guarda, in parte, anche l'ex Ilva di Taranto. Inoltre, sempre sul mercato interno, siti come quello di Piombino o di Cividate, potrebbero scegliere di giocare al rilancio, portando a un ulteriore aumento della capacità produttiva da forno elettrico italiana, e di conseguenza alla necessità di maggiore rottame. L'Italia è da sempre importatore netto di questa materia prima seconda: un terzo del rottame consumato in Europa va sul mercato italiano. Ma sono altri numeri a preoccupare. «L'Europa - spiega Flavio Bregant, direttore generale di Federacciai - esporta 17 milioni di tonnellate di rottame ferroso, materiale da riciclo fondamentale. Un paradosso, se si pensa agli obiettivi green della Commissione. Si tratta di un patrimonio che andrebbe tesaurizzato. Altri paesi hanno maturato da tempo questa consapevolezza: Russia, Ucraina, Egitto, India e Vietnam hanno imposto dazi all'export di rottame. Altri paesi hanno divieto di export. In Europa non è una scelta praticabile ma potremmo, per esempio, fare in modo che possa essere venduto solo a paesi che dimostrano di essere in grado di rispettare le nostre stesse normative ambientali. Alla Commissione europea non chiediamo barriere ma un ragionamento più ampio: difendere questa componente significa mantenersi coerenti negli obiettivi di green deal e difendere la competitività della filiera manifatturiera».

Intanto, l'operatività quotidiana di molte Pmi italiane rischia di essere seriamente ostacolata. «Siamo in difficoltà con i clienti internazionali, che pretendono contratti a lungo termine. C'è preoccupazione per le marginalità e, per i più piccoli, per gli equilibri patrimoniali. L'Italia deve esportare alta precisione, non navi di rottame. Così rischiamo di fare un passo indietro e lasciare spazio ai concorrenti» spiega Gabriella Pasotti, presidente della sezione Meccanica di Confindustria Brescia. È necessario correre ai ripari, anche perchè non si tratta di una situazione temporanea. «Sbagliava chi aveva liquidato tutto come una bolla speculativa - spiega Pasini -. L'escalation è sotto gli occhi di tutti, la Cina produce il 60% dell'acciaio mondiale ed è naturale che quando questa economia riparte, la tendenza è un disequilibrio negli assetti. È chiaro che ci saranno tensioni lungo la filiera: per esempio molti contratti a lungo termine nelle costruzioni non possono essere rivisti. Ma non è accettabile che milioni di tonnellate di rottame escano dall'Europa senza che si dica nulla. Se davvero vogliamo la decarbonizzazione, il rottame è strategico». L'Italia grande importatore, esporta comunque circa 400mila tonnellate di rottame. Ma in questa situazione, i commercianti di rottame italiani rifiutano un ruolo da antagonisti. «Vendiamo al migliore offerente - spiega Romano Pezzotti, presidente di Fersovere -, è il nostro mestiere. Ma i grossisti sono parte della filiera, non un problema: la soluzione è lavorare insieme per rendere questo rapporto più strutturato sia nei periodi di picco che di stabilità».

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