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L'amministrazione deve rispondere all'istanza di accesso civico anche se ha già negato quello ordinario

La trasparenza si declina come «accessibilità totale» finalizzato a garantire il controllo democratico sull'attività amministrativa

di Stefano Usai

Il diniego formulato avverso l'istanza di accesso agli atti in base alla lege 241/1990 non evita la condanna alla stazione appaltante se, a una riformulazione della stessa richiesta in termini di accesso civico generalizzato, non fornisce alcun riscontro. In questo senso, il Consiglio di Stato, sezione III, sentenza n. 9657/2022.

L'accesso agli atti
A fronte di una prima risposta negativa, sull'istanza di accesso ai documenti dell'offerta tecnica espressa ai sensi della legge 241/90, perché priva di legittimazione, la ricorrente proponeva alla stazione appaltante una richiesta di accesso civico generalizzato in base all'articolo 5, comma 2 del Dlgs 33/2013.
La nuova domanda mirava ad ottenere la documentazione già richiesta con la finalità «di conoscere con quali mezzi e con quali soluzioni logistiche» l'affidataria avrebbe assicurato l'esecuzione del contratto. Contro il silenzio dell'amministrazione, la ricorrente pone ricorso innanzi al Tar Puglia (sentenza n. 36/2022) che non ritiene meritevole di considerazione l'istanza in quanto meramente ripetitiva della precedente la cui risposta (negativa) non sia stata impugnata. Da qui il ricorso al Consiglio di Stato .

La sentenza
Il giudice ritiene fondato il ricorso essendo «diversi i presupposti soggettivi ed oggettivi» dell'istanza non meramente ripetitiva della prima richiesta di accesso (fondata appunto sulla legge 241/1990).
La vicenda consente al giudice di tornare sulla consolidata distinzione tra accesso ordinario e accesso civico generalizzato rammentando che «che l'art. 22 della legge n. 241 del 1990 consente l'accesso ai documenti a chiunque vi abbia un interesse finalizzato alla tutela di situazioni giuridicamente rilevanti (Cons. Stato, Sez. V, 19 maggio 2020, n. 3176), mentre l'accesso civico generalizzato è riconosciuto e tutelato al fine di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull'utilizzo delle risorse pubbliche e di promuovere la partecipazione al dibattito pubblico». Questo diritto può essere esercitato da chiunque (quanto alla legittimazione soggettiva) «e senza alcun onere di motivazione circa l'interesse alla conoscenza (cfr. Cons. Stato, Ad. Plen., 2 aprile 2020, n. 10)». In questa forma di accesso, si legge ancora in sentenza, la trasparenza si declina come «accessibilità totale» finalizzato a garantire il controllo democratico sull'attività amministrativa (Cons. Stato, Sez. VI, 5 ottobre 2020, n. 5861).
Le due forme di accesso, pertanto, non sono affatto sovrapponibili, non solo, alla richiesta di accesso civico generalizzato non può opporsi la mancata impugnazione della precedente istanza formulata ai sensi della legge 241/1990 e quindi l'improseguibilità del giudizio stante che il diniego (il silenzio serbato dall'amministrazione) «non ha natura meramente confermativa allorché la successiva istanza di accesso sia basata su fatti nuovi e su di una diversa prospettazione della legittimazione all'accesso (Cons. Stato, Sez. V, 6 novembre 2017, n. 5996)». Con l'epilogo, inoltre, si conferma che l'accesso civico, al netto dei divieti temporanei o assoluti di cui all'art. 53 del Codice risulta «applicabile anche agli atti delle procedure di gara, ed in particolare all'esecuzione dei contratti pubblici (nel cui contesto si colloca la fase del collaudo, alla quale pertiene la documentazione di cui l'appellante ha chiesto l'ostensione)».
Rimane sempre ferma, ovviamente, l'esigenza di verificare «la compatibilità di tale forma di accesso con le eccezioni enucleate dall'art. 5-bis, commi 1 e 2, dello stesso d.lgs. n. 33 del 2013, a tutela degli interessi-limite, pubblici e privati, previsti da tale disposizione, nel bilanciamento tra il valore della trasparenza e quello della riservatezza».

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