Fisco e contabilità

La descrizione generica in fattura del servizio effettuato rende il costo indeducibile da Ires e Iva

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di Luddeni Domenico

La commissione tributaria provinciale di Milano con la sentenza n. 2897/2019 ha ribadito che in presenza di una fattura di acquisto riportante una descrizione generica del servizio effettuato, il costo non è deducibile ai fini Ires né ai fini Iva. Questa affermazione è di grande interesse per gli enti locali che ricevono abitualmente fatture con descrizioni quanto mai improbabili o generiche o con riferimenti a contratti, clausole, determinazioni dirigenziali o altri elementi poco chiari che non indicano direttamente la natura dell'oggetto della fattura.
La descrizione in fattura riportava «lavorazioni di terzi» senza alcun dettaglio in relazione ai servizi prestati. Solo in sede di accertamento con adesione, il contribuente ha presentato ulteriori elementi al fine di dimostrare l'inerenza della spesa.
Per la Ctp di Milano, tuttavia, il contribuente non ha diritto alla deduzione dei costi e la detraibilità dell'Iva, sia per la genericità dell'oggetto riportato in fattura, sia perché, a parere della commissione, gli elementi di prova forniti dal contribuente non sarebbero sufficienti. Il principio espresso dalla commissione è di grande interesse e troppo spesso sottovalutato e suggerisce di porre grande attenzione nella ricezione delle fatture di acquisto. La Ctp infatti ha sottolineato la violazione dell'obbligo previsto dall'articolo 21, comma 1 lettera g), Dpr 633/1972, avendo l'emittente omesso di indicare in modo specifico la «natura, qualità e quantità dei beni e dei servizi formanti oggetto dell'operazione». L'oggetto dell'operazione è un elemento imprescindibile della fattura, e l'emittente ha l'obbligo di indicare con esattezza i beni o i servizi ceduti, unico modo, in prima istanza, di dimostrare l'inerenza dei beni o servizi acquistati.
L'orientamento giurisprudenziale
La Cassazione ha affermato in diverse pronunce (n. 21980/2017, n. 21446/2014, n. 24426/2013, n. 9108/2012) che, sia in tema di imposizione diretta sia in tema di Iva, la fattura costituisce elemento probatorio a favore dell'impresa, solo se redatta in conformità ai requisiti di forma e contenuto prescritti dal Dpr 633/1972, articolo 21. Questa previsione, secondo la Suprema corte, risponde a un'oggettiva finalità di trasparenza e di conoscibilità essendo funzionale a consentire l'espletamento delle attività di controllo e verifica da parte dell'amministrazione. (Corte di cassazione, sentenza n. 27777/2017).
D'atro canto è indubitabile che il contribuente possa dimostrare l'inerenza con ulteriori elementi di prova, posto che la giurisprudenza è pressoché unanime nel ritenere, sia ai fini della deduzione dei costi sia ai fini della detrazione dell'Iva, che sia onere del contribuente dimostrare di soddisfare le condizioni per poterne fruire e, di conseguenza, di fornire elementi integrativi rispetto alle fatture.
Per gli enti locali il problema emerge sia ai fini Iva che ai fini Irap, per gli enti che adottano il metodo commerciale. Per le fatture ricevute in ambito commerciale, l'eventuale non inerenza comporta lo spostamento della fattura dall'attività commerciale a quella istituzionale, con carente versamento di quest'ultima e applicazione delle relative sanzioni e interessi.
Per gli enti che determinano l'Irap con il metodo commerciale la fattura generica non inerente comporta l'indetraibilità del costo con conseguente maggiore Irap da versare (o minor credito riconosciuto). È evidente che gli enti potranno ovviamente dimostrare l'inerenza, producendo contratti, determinazioni dirigenziali, buoni d'ordine, ma con un inutile aggravio sia economico che organizzativo e con il rischio, sempre presente, di non veder riconosciute le proprie ragioni anche per semplici ragioni formali.

La sentenza della Ctp di Milano n. 2897/2019

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