Fisco e contabilità

La nuova Tari non cambia le categorie tariffarie

Il Dlgs 116/2020 non interviene in alcun modo nella normativa fiscale

di Giuseppe Debenedetto

I Comuni potranno continuare ad utilizzare la categoria tariffaria 20, relativa alle «Attività industriali con capannoni di produzione», o l'analoga categoria 14 per gli enti con meno di 5mila abitanti. Si tratta di un importante chiarimento contenuto nella nota introduttiva allo schema di regolamento Tari, pubblicata dall'Ifel al fine di recepire le novità introdotte dal Dlgs 116/2020 (si veda anche NT+ Enti locali & edilizia di ieri).

Il problema sorge dall'eliminazione della categoria dei capannoni industriali dall'allegato L-quinquies del Dlgs 116/2020, circostanza che ha indotto molti enti a ritenere che fosse venuta meno anche la categoria tariffaria 20 del Dpr 158/99. Conseguentemente sono state avviate, in molti casi, defatiganti attività di ricostruzione delle tariffe Tari attraverso uno spacchettamento della categoria 20 con ricollocazione nelle altre categorie in base alla destinazione d'uso delle diverse superfici appartenenti al compendio industriale (il cosiddetto "spezzatino"). Ad esempio per gli uffici si dovrebbe utilizzare la categoria 11, per i magazzini e i depositi la categoria 3, per le mense la categoria 23 e così via per le altre destinazioni d'uso.

Ma a ben vedere il Dlgs 116/2020 non interviene in alcun modo nella normativa fiscale, creando peraltro un disallineamento tra le novità introdotte in attuazione delle direttive sull'economia circolare e la disciplina della Tari contenuta nella legge 147/2013. Emblematico è il caso dell'articolo 238 del Dlgs 152/06, che è stato modificato dal Dlgs 116/2020 senza considerare che la disposizione riguardava un prelievo (la Tia2) ormai soppresso, facendo così sorgere diversi dubbi interpretativi anche per via della sua incompatibilità con il comma 649 della legge 147/2013.

L'Ifel chiarisce condivisibilmente che l'allegato L-quinquies del Dlgs 116/2020 non individua le categorie tariffarie della Tari, ma solo le attività - peraltro in modo non esaustivo - che producono rifiuti urbani.

Le categorie Tari rimangono, invece, quelle di cui agli allegati al Dpr 158/99, ovvero le 21 categorie per i Comuni fino a 5 mila abitanti e le 30 categorie per i Comuni oltre 5mila abitanti, con l'ulteriore precisazione che il Comune ha anche ampia possibilità di modifica delle categorie, che possono essere accorpate o ulteriormente frazionate, sulla base di indagini condotte al fine di verificare l'effettiva produzione dei rifiuti. Insomma, il Dpr 158/1999 non risulta interessato da alcuna modifica normativa ed altrettanto dicasi per l'articolo 1, comma 651, della legge 147/2013, a mente del quale «il comune nella commisurazione della tariffa tiene conto dei criteri determinati» dal Dpr 158/1999.

D'altronde se fosse applicabile l'elenco delle 29 attività di cui all'allegato L-quinquies, tutti i comuni sotto i 5mila abitanti (circa 5.500 enti) dovrebbero modificare le proprie categorie tariffarie (che attualmente sono 21), il che non può essere oggettivamente possibile.

Pertanto, i Comuni potranno continuare ad utilizzare le categoria 20 o 14, a seconda delle dimensioni dell'ente, potendo facoltativamente assoggettare i vari locali a seconda della loro specifica destinazione al fine di garantire una continuità operativa, evitando così inutili e dispendiose attività di ricostruzione delle proprie banche dati.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©