Amministratori

La petizione non rende doveroso l'iter di revisione della delibera comunale

L'istanza popolare non è idonea a imporre un vero e proprio vincolo giuridico di provvedere da parte dell'ente

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di Pietro Alessio Palumbo

Proposta e petizione sono atti di natura partecipativa ossia meccanismi di democrazia diretta che consentono ai cittadini di interloquire con le istituzioni al fine di rappresentare problematiche sensibili per la collettività. Di frequente tali tipologie di richieste sono regolamentate dallo statuto comunale, con la previsione di uno speciale procedimento amministrativo per la loro istruzione e trattazione. Tuttavia secondo il Consiglio di Stato (sentenza n. 2911/2023) l'oggetto delle petizioni nonché l'ambito dell'obbligo di provvedere sulle stesse da parte del Comune vanno coordinati con i principi generali del procedimento amministrativo; che non sono derogabili da una fonte subordinata.

Nella vicenda sottoposta all'esame del Consiglio di Stato alcuni cittadini avevano chiesto l'annullamento del silenzio formatosi sulla petizione inoltrata ai sensi dello statuto comunale: la petizione non era stata trasmessa dal sindaco all'organo competente, né inoltrata ai gruppi consiliari; neppure era stato acquisito il parere dei responsabili dei servizi interessati e del segretario comunale.

Il massimo giudice amministrativo ha rigettato il ricorso del gruppo di cittadini evidenziando che salvo eccezioni espressamente previste dalla legge, non sussiste alcun obbligo del Comune di far seguito al sollecito sul silenzio serbato dal Comune su tali richieste. Deriva che anche a fronte di una istanza di revoca di una delibera del consiglio comunale formulata mediante petizione avanzata nelle forme regolamentate dallo statuto, il Comune non ha il dovere di darvi seguito; ma soprattutto tale indolenza non è impugnabile davanti al giudice amministrativo.

La revoca, infatti, si configura in ragione della sua ampia discrezionalità, alla stregua di un tipico strumento di modifica decisoria preordinato alla rimozione di un provvedimento all'esito di una nuova valutazione dell'interesse pubblico alla sua conservazione. La richiesta avanzata dai cittadini circa l'inerzia del Comune su una proposta finalizzata all'ossequio all'iter da osservare a seguito di una petizione secondo Statuto, si atteggia come una mera denuncia, con una funzione semplicemente sollecitatoria. Va escluso l'obbligo di provvedere nel caso in cui l'istanza sia volta a incalzare il riesame di un atto divenuto oramai inoppugnabile. A ben vedere, affermando un generalizzato obbligo in capo all'amministrazione di rivalutare un proprio provvedimento, quando rispetto a esso siano decorsi i termini per proporre un ricorso, si lederebbe l'esigenza di certezza e di stabilità dei rapporti che hanno titolo in atti autoritativi; con elusione del regime di decadenza dei termini di impugnazione. L'istanza popolare ha in tali circostanze una natura unicamente di pungolo o di stimolo. Come tale è inidonea a imporre un vero e proprio vincolo giuridico di provvedere da parte del Comune. Da tutto ciò consegue l'inutilizzabilità dei rimedi prescritti dalla legge avverso le forme di silenzio inadempimento della Pa.

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