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Le assenze del consigliere non fanno scattare la decadenza a meno che non siano ingiustificate

L'inadeguatezza o l'estrema genericità delle motivazioni deve essere obiettivamente grave

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di Pietro Alessio Palumbo

Le norme sulla decadenza dalla carica di consigliere comunale non prevedono affatto che oltre alla giustificazione dell'assenza il consigliere sia onerato della dimostrazione di un impedimento «assoluto» a presenziare alle sedute del consiglio. A ben vedere laddove il testo unico rinvia allo statuto comunale la disciplina dei casi di decadenza, garantisce il diritto del consigliere di assentarsi dalle sedute consiliari, evidenziando nondimeno il suo onere di addurre una motivazione, ragionevole, della specifica assenza. Sulla base di questa interpretazione dell'istituto in parola, con la sentenza 573/2021 il Consiglio di Stato ha dunque chiarito che può considerarsi giustificato motivo anche la genuina «scelta» del consigliere di non partecipare alla riunione; frutto di una decisione sensata ancorché, invero, «non insuperabile».

No a valutazioni arbitrarie
Il potere di apprezzamento del consiglio sul comportamento di disinteresse di un proprio componente, col fine di tutelare il corretto funzionamento dell'organo, si fonda su una norma che non ricollega la decadenza per assenze a eventi tipizzati, e non gli attribuisce una autorità di natura incondizionata. Secondo una simile lettura della normativa spetterebbe all'organo consiliare, cui è attribuita la facoltà di dichiarare la decadenza del proprio consigliere, la valutazione (ampiamente) discrezionale delle giustificazioni prodotte dall'interessato.

Sì a valutazioni rigorose ma «prudenti»
Ferma restando la possibilità del consiglio di sindacare i casi in cui le ragioni addotte dal proprio componente siano prive di qualsiasi spiegazione logica ovvero che non siano supportate da alcuna documentazione o dimostrazione dei fatti affermati, le circostanze che giustificano l'esercizio del potere di decadenza vanno interpretate restrittivamente e con estremo rigore. La «prudenza» si rende necessaria non solo per la limitazione che la decadenza può comportare all'esercizio di un importantissimo ruolo di rappresentanza popolare, ma anche per l'evenienza che l'operazione in questione possa risolversi in un uso distorto del potere in parola: casomai per ragioni di «scontro politico». Invero gli aspetti garantistici della procedura devono essere valutati con la massima attenzione anche per evitare un uso «malcelato» dell'istituto, magari quale strumento di discriminazione nei confronti delle minoranze.

Se i motivi sono «politici», vanno dimostrati
Le reiterate assenze possono dar luogo alla decadenza (solo) quando rivelano con ragionevole deduzione un atteggiamento di noncuranza o negligenza frutto di motivi «futili» o comunque inadeguati rispetto agli impegni assunti con l'incarico pubblico elettivo. In altre parole l'inadeguatezza o l'estrema genericità delle giustificazioni deve essere obiettivamente grave, e in grado d'impedire qualsiasi beneplacito sulla fondatezza, serietà e rilevanza dei motivi addotti. Nel delicato caso di «obiettivi politici» - quale ad esempio quello di far venire meno il numero legale, che presuppone in sé l'elemento del «segreto» e quindi la «sorpresa» - affinché l'assenza possa essere considerata legittima, è necessario, anche al fine di evitare facili aggiramenti della normativa, che il consigliere esponga, successivamente, quantomeno un elemento di prova in ordine alla motivazione «politica» della sua assenza, altrimenti da considerare (anche politicamente) «intollerabile».

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