Minacciare il sindaco di denuncia alla Corte dei conti per ottenerne le dimissioni è estorsione
Non con l'intenzione di esercitare un diritto, ma con lo scopo di coartare l'altrui volontà
Se pure infondata una minaccia del genere può tenere il Sindaco per molti anni "a bagnomaria" ossia in condizioni di prostrazione e disagio – per usare l'espressione riportata dal P8m nella vicenda trattata dalla Cassazione nella sentenza n. 5556/2023. Secondo la Suprema Corte la minaccia di adire le magistrature o le forze di polizia, pur avendo un'esteriore apparenza di legalità, può integrare l'elemento costitutivo del delitto di estorsione quando sia formulata non con l'intenzione di esercitare un diritto, ma con lo scopo di coartare l'altrui volontà e conseguire risultati a ben vedere non conformi a giustizia ovvero per realizzare un profitto ingiusto.
Per ottenerne le sollecite dimissioni dalla carica l'imputato aveva minacciato il primo cittadino del Comune che lo avrebbe denunciato alla Corte dei conti quale potenziale responsabile di una serie di illeciti contabili.
La tutela apprestata dalla normativa penale dedicata al delitto di estorsione trova fondamento nella esigenza di tutelare la possibilità del singolo di autodeterminarsi in decisioni e libere scelte. La manifestazione del proposito di adire le vie legali a soddisfazione di una determinata pretesa o comunque in reazione al rifiuto di accondiscendere a una richiesta, può integrare una modalità di ricatto dove ricorrano particolari circostanze da valutarsi caso per caso; tenendo conto delle qualità personali dei soggetti coinvolti e delle modalità con le quali il proposito di adire le vie legali è stato manifestato.
L'avvertimento può concretarsi in un mezzo per raggiungere uno scopo estraneo al fine proprio dell'azione giudiziaria che si ha intenzione di intraprendere; e per la vittima non sussiste una alternativa tra l'accondiscendere alla pretesa ovvero sopportare le conseguenze dannose.
Il delitto di estorsione si configura sia quando si minaccia una denuncia diretta non al riconoscimento di un diritto bensì alla realizzazione di un profitto ingiusto; sia quando la violenza o la minaccia anche se indiretta o mediata mira come fine ultimo a "paralizzare" la vittima, per trarne dalla inazione o dalla rinuncia conseguenti alla coartazione, il vantaggio a cui l'agente aspira.
L'esteriore apparenza di legalità non conta: se l'avvertimento è formulato non con l'intenzione di esercitare un diritto, ma con lo scopo malcelato di forzare l'altrui volontà siamo in presenza di una intimidazione che integra reato. E anzi integra il delitto in parola anche una pretesa contrattuale azionata in giudizio per scopi eccentrici rispetto a quelli per cui il diritto deve essere riconosciuto e tutelato. Infatti una pretesa contrattuale diventa reato di estorsione, quando l'agente, pur avvalendosi di mezzi giuridici legittimi, li utilizzi per conseguire vantaggi estranei al rapporto giuridico controverso; perché non dovuti nell'ammontare richiesto, ovvero perché finalizzati a scopi diversi o non consentiti rispetto a quelli per cui il diritto va riconosciuto: e quindi per realizzare un tornaconto ingiustificato.