Nessun rimborso Imu in caso di annullamento del piano regolatore
L’annullamento dello strumento urbanistico generale non comporta il diritto al rimborso dell’Imu pagata da parte del proprietario (o titolare di altro diritto reale) di un’area edificabile ritornata alla sua originaria previsione agricola.
La Corte di cassazione, con la sentenza n. 14883, pubblicata il 03/06/2025, torna su di una questione già affrontata in passato dalla stessa Corte, relativa alla spettanza o meno del rimborso dell’Imu pagata su di un’area edificabile nell’ipotesi in cui lo strumento urbanistico generale che prevedeva tale edificabilità sia stato annullato dal giudice amministrativo.
Nell’Imu, l’articolo 1, comma 741, della legge 160/2019 stabilisce che per area fabbricabile si intende l’area utilizzabile a scopo edificatorio in base agli strumenti urbanistici generali o attuativi, ovvero in base alle possibilità effettive di edificazione determinate secondo i criteri previsti agli effetti dell’indennità di espropriazione per pubblica utilità. L’articolo 36, comma 2, del Dl 223/2006, richiamato dal citato comma 741, precisa che ai fini Ici (e oggi Imu), un’area è da considerare fabbricabile se utilizzabile a scopo edificatorio in base allo strumento urbanistico generale adottato dal Comune, indipendentemente dall’approvazione della Regione e dall’adozione di strumenti attuativi del medesimo.
Nel caso in cui lo strumento urbanistico generale (o nello specifico del contenzioso esaminato dalla Corte il piano di governo del territorio di previsto dalla Lr 12/2005 della Lombardia) sia annullato, la circostanza non ha alcun effetto sulla qualifica di edificabilità del terreno (ai fini fiscali). Ciò in quanto la norma appena sopra descritta (e analogamente nell’Imu l’articolo 2, comma 1, lettera b, del Dlgs 504/1992) chiarisce che la nozione di edificabilità fiscale si divide in due specie: l’area edificabile di diritto, così qualificata in un piano urbanistico, e l’area edificabile di fatto, vale a dire quella del terreno che, pur non essendo urbanisticamente qualificato, può nondimeno avere una vocazione edificatoria che si individua attraverso la constatazione dell’esistenza di taluni fattori come la vicinanza al centro abitato, lo sviluppo edilizio raggiunto dalle zone adiacenti, l’esistenza di servizi pubblici essenziali, la presenza di opere di urbanizzazione primaria, il collegamento con i centri urbani già organizzati, e l’esistenza di qualsiasi altro elemento obiettivo di incidenza sulla destinazione urbanistica (Cassazione, pronunce 14 novembre 2012, n. 19851; sezione 5”, 16 novembre 2012, n. 20137; sezione 5”, 11 novembre 2016, n. 23023).
La norma dell’articolo 36, comma 2, del Dl 223/2006, richiamato, come sopra evidenziato, dal comma 741 della legge 160/2019, prevede che il semplice inizio del procedimento di trasformazione urbanistica sia sufficiente a far lievitare il valore venale dell’immobile, senza che assumano alcun rilievo eventuali vicende successive incidenti sulla sua edificabilità, quali la mancata approvazione o la modificazione dello strumento urbanistico.
Ne consegue che l’annullamento della deliberazione di adozione del piano regolatore generale non ha effetto sulla qualificazione edificatoria delle aree ex agricole, nei periodi di imposta di vigenza della delibera anzidetta, in quanto ai fini fiscali vale non solo l’edificabilità di diritto, ma anche quella di fatto. Pertanto, nessun diritto al rimborso spetta al contribuente la cui area edificabile ritorni nella classificazione agricola (Cass., 21 ottobre 2022, n. 31174).
Tale approccio, a detta dei Giudici della Cassazione, è del tutto coerente con quanto stabilito dalle Sezione Unite della Corte di cassazione, con la pronuncia n. 25506/2006, nella quale è stato evidenziato che l’avvio del procedimento di trasformazione urbanistica del suolo è sufficiente per far incrementare il suo valore venale. Le oscillazioni del valore venale del terreno, conseguenti all’andamento del procedimento che incide sul diritto edificatorio ovvero alle modifiche del piano regolatore che si traducano in una diversa classificazione del suolo, stante la natura periodica del tributo, incidono solo sull’ammontare del tributo dovuto in ogni anno, senza che facciano sorgere alcun diritto al rimborso rispetto a quanto pagato negli anni precedenti.
Peraltro, l’esclusione del diritto al rimborso, sia nel caso di diminuzioni del valore venale e sia nell’ipotesi, qui esaminata, di annullamento della delibera di approvazione del piano regolatore generale, che faccia ritornare nella categoria agricola un terreno edificabile, è confermata altresì dalla disposizione contenuta nell’articolo 1, comma 777, lettera c, della legge 160/2019, che rimette alla potestà regolamentare comunale la decisione di prevedere il diritto al rimborso dell’imposta pagata per le aree successivamente divenute edificabili, stabilendone termini, limiti temporali, avuto anche riguardo alle modalità e alla frequenza delle varianti apportare agli strumenti urbanistici (analogamente a quanto era previsto dall’articolo 59 del Dlgs 446/1997 nell’Ici). La Cassazione, con la sentenza n. 14697/2024, ha evidenziato che: «Dunque, la regola è l’inammissibilità del rimborso del tributo relativamente alle aree divenute non più edificabili e, quindi, dell’insussistenza di un “diritto al rimborso” ma è rimessa alla libera discrezionalità dei Comuni la (semplice) facoltà di ammettere rimborsi, nei tempi ed alle condizioni indicati negli appositi regolamenti, per l’Ici versata, non potendo dunque trovare applicazione l’invocato articolo 2033 cod. civ. …In disparte ogni ulteriore valutazione in ordine alla configurabilità di un “indebito oggettivo”». In merito all’eventuale richiesta di rimborso fondata sulla previsione dell’articolo 2033 del codice civile (ripetizione del pagamento indebito), la Corte costituzionale ha evidenziato, con la sentenza n. 332/2002, che il diritto alla ripetizione (articolo 2033 del codice civile) si atteggia diversamente in materia tributaria e può essere legittimente limitato o escluso dal legislatore.
Passando agli obblighi dichiarativi delle aree fabbricabili, vista la recente scadenza del termine previsto per l’anno 2024 (30 giugno scorso), va rammentato che, seppure il Dm 24/04/2024, relativo all’approvazione delle istruzioni e del modello di dichiarazione dell’Imu (e dell’Impi) preveda numerosi casi di esclusione, nell’ipotesi di aree edificabili si precisa che la dichiarazione deve essere presentata anche nel caso di atti costitutivi, modificativi e traslativi dell’area edificabile, in quanto seppure tali atti siano fruibili dal Comune, il contribuente deve dichiarare il valore venale in comune commercio, come definito dal comma 746 dell’articolo 1 della legge 160/2019. Analogamente devono essere dichiarate tutte le variazioni annuali del valore venale, seppure la Corte di cassazione, con la non condivisibile ordinanza n. 11443/2023 del 02.05.2023, ha affermato che, in relazione alle aree edificabili che sono state già oggetto di dichiarazione ai fini Ici/Imu, il contribuente non è tenuto a dichiarare la successiva variazione del valore venale dell’immobile, salvo il caso in cui la variazione dipenda da precisi elementi fattuali o da variazioni urbanistiche.
Solo nel caso in cui il contribuente abbia inteso adeguarsi in sede di versamento al valore venale determinato dal comune ai sensi del comma 777, lettera d, dell’articolo 1 della legge 160/2019, la dichiarazione non deve essere presentata. Seppure, data la difficoltà che potrebbe avere il comune, specie nel caso di liquidazioni “automatiche” dell’imposta derivanti dalla banca dati comunale, a ricostruire la correttezza del versamento effettuato rispetto al valore deliberato dal comune stesso, è consigliato che la dichiarazione venga presentata, nel caso di modifiche rispetto all’annualità precedenti. La dichiarazione deve essere presentata anche nel caso di un terreno che da agricolo diventa edificabile, per adozione di un nuovo piano regolatore ovvero per l’adozione di varianti allo stesso e, si ritiene, anche nel caso inverso (nel caso di terreni agricoli esenti le stesse istruzioni precisano che sussiste l’obbligo dichiarativo quando un immobile ha acquisito o perduto nell’anno il diritto all’esenzione). Nel caso di terreni edificabili acquisiti mortis causa, seppure la regola generale sia che la dichiarazione di successione sostituisce la dichiarazione Imu, nel caso delle aree fabbricabili la Corte di cassazione, con l’ordinanza n. 8614/2021, ha chiarito che la base imponibile ai fini Ici (e Imu) non può essere determinata mediante i criteri di calcolo dell’imposta di successione, e questo perché l’imposizione locale ha presupposti autonomi e divergenti da quelli riconducibili all’imposta sulle successioni e donazioni, concludendo che l’accertamento in rettifica emesso dal Comune sulla base del valore del bene indicato nella dichiarazione di successione non costituisce un criterio corretto ai fini della determinazione della base imponibile Ici.
Inoltre, la dichiarazione Imu deve essere presentata nel caso di fabbricati demoliti, allorquando torna soggetta all’imposta l’area fabbricabile, e di fabbricati oggetto di interventi di ristrutturazione edilizia e urbanistica, restauro o risanamento conservativo, tenuto conto che nel periodo di svolgimento dei suddetti lavori l’imposta è dovuta sul valore dell’area, la quale è considerata fabbricabile senza computare il valore del fabbricato in corso d’opera.
Da ricordare che i contribuenti tenuti alla presentazione della dichiarazione Imu per l’anno 2024, che non hanno provveduto entro il 30 giugno scorso, possono regolarizzare la violazione avvalendosi dell’istituto del ravvedimento operoso (articolo 13, comma 1, lettera c, del Dlgs 472/1997), presentando la dichiarazione omessa e provvedendo al versamento dell’imposta non versata nel 2024, oltre agli interessi legali ed alla sanzione ridotta ad un decimo (ossia 10%, con minimo di 5 euro, nel caso di ritardo superiore a 30 giorni e 3,33%, con minimo di € 1,67, nel caso di ritardo fino a 30 giorni, ai sensi dell’articolo 7, comma 4-bis, del Dlgs 472/1997), entro 90 giorni dalla scadenza del termine (29 settembre 2025, considerato che il 28 settembre cade di domenica). Si rammenta che il comma 1-ter dell’articolo 13 del Dlgs 472/1997, introdotto dal Dlgs 87/2024, ha precisato che la riduzione della sanzione è, in ogni caso, esclusa nel caso di presentazione della dichiarazione con un ritardo superiore a novanta giorni, superando la posizione del Ministero dell’economia e delle finanze il quale, per quanto concerne i tributi locali in mancanza di previsioni specifiche, riteneva che sia sempre possibile ravvedere una dichiarazione omessa anche oltre i 90 giorni dalla scadenza, secondo le disposizioni previste dall’articolo 13 del Dlgs n. 472 del 1997 (risposta a Telefisco 2024). Posizione questa che comunque contrasta con quanto affermato dal Ministero delle finanze con la circolare n. 184 del 13/7/1998.
(*) Vicepresidente Anutel
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