Non è edilizia libera la tettoia (o gazebo) poggiata su pilastri in mattoncini
Il Tar Lazio chiarisce che si tratta di un'opera che necessita di permesso
La realizzazione di un gazebo, o di una tettoia che poggia su pilastri in mattoncini non può essere considerata edilizia libera ma necessita di permesso a costruire. Con questa motivazione, espressa nella sentenza numero 10329/2023, il Tar di Roma ha respinto il ricorso di una persona che nella pertinenza della sua abitazione aveva realizzato dei pilastri con mattoncini e una tettoia con un telo. Davanti al provvedimento del Comune (sanzione da 1.500 euro e ordinanza di demolizione) era stata invocata la condizione che la struttura potesse rientrare nell'ambito dell'edilizia libera.
Tutto nasce quando il proprietario di un immobile con annesso terreno e pertinenze realizza nella sua proprietà «in assenza di Dia» una struttura in legno con con due pilastri rivestiti in mattoncini di metri 3,3 x 6 x 2,30 alla gronda e 2.70 all'apice con copertura in telo Pvc, «in zona che si assume gravata da vincolo di cui all'art. 136, comma c)».
Per Roma Capitale la struttura non può considerarsi da edilizia libera perché non presenta «il carattere di precarietà così come chiarito dalla circolare del Comune n.19137/12» che definisce il pergolato «come una struttura leggera ed amovibile, in quanto priva di fondamenta, che può essere rimossa senza difficoltà». Ricordando e citando i diversi pronunciamenti dei Tar in materia analoga, i giudici sottolineano che «l'orientamento si è consolidato nel senso di ritenere che il gazebo (struttura a copertura di un'area, sorretta da pali o pilastri, aperta sui lati) costituisce opera soggetta a permesso a costruire tutte le volte che è destinata ad esigenze non temporanee senza che rilevi la sua pertinenzialità (che presuppone comunque la Scia) o la sua eventualmente facile amovibilità o il materiale dal quale è composto (ligneo invece che in muratura)».
Quanto al caso specifico, i magistrati amministrativi, ricordano che il ricorrente non ha prodotto «né una documentazione fotografica dell'abuso (solamente indicata in memoria, ma non riscontrabile agli atti), né altri documenti tecnici che permettano al Collegio di poter valutare condizioni diverse da quelle desumibili dalla mera descrizione testuale del manufatto che si trae dagli atti impugnati e relativi presupposti istruttori, come anche prodotti dall'Amministrazione» e aggiungono che «le argomentazioni svolte nella memoria conclusiva circa la natura pertinenziale del manufatto che, oltre a non essere state dedotte nel corpo dei motivi articolati nel ricorso introduttivo, rimangono comunque irrilevanti posto che anche l'intervento pertinenziale necessita comunque di previo titolo (Scia)».
Risultato? «La dimensione e le caratteristiche costruttive della tettoia (pilastri in legno e mattoncini) ostano a poter ritenere che, nel caso di specie, si verta in ordine a opere di edilizia libera ex art. 6 del Dpr 380/2001, dovendosi ritenere che sarebbe stato necessario il titolo che l'Amministrazione ha individuato nella Dia (Scia) ex art. 22, comma 1 e 2, del Dpr 380/2001». Ricorso respinto e spese a carico del soccombente